Ogni storia è a sé, e va ascoltata: l’Accoglienza delle donne e dei minori
Abbiamo incontrato le operatrici Maria Teresa Stampi ed Elena Brina per farci raccontare la bella e difficile complessità del loro servizio, al di là di ogni estremizzazione e paternalismo
Qui non esistono estremizzazioni, ma solo la bella e drammatica complessità delle piccole cose. Qui le persone, le situazioni, i problemi vanno affrontati «goccia a goccia», con tenacia e pazienza, senza eccessive sovrastrutture, ma lasciando – maieuticamente – venir fuori i bisogni della persona assistita.
È questo il grande insegnamento che ci lasciano Maria Teresa Stampi ed Elena Brina, due delle operatrici della nostra Caritas di Ferrara impegnate nell’Accoglienza di donne e minori.
Accoglienza che ha, dal 2014, ha Casa Betania in via Borgovado come centro, luogo dove vivono donne con minori e donne sole richiedenti asilo, che abbiano un progetto di raggiungimento dell’autonomia e dell’indipendenza. Oltre a questa, Caritas dispone di 9 appartamenti in comodato ad uso gratuito dove in gruppi appartamento (da 4 persone negli appartamenti più piccoli a 12 in quelli più spaziosi) vivono le donne arrivate da più tempo in Italia e con una conoscenza della lingua tale da rendere loro maggiormente indipendenti. In totale, Caritas Ferrara ha 123 posti in accoglienza, attualmente tutti occupati, 50 dei quali sono bambini (e 40 nuclei familiari).
Le informazioni generali sull’Accoglienza in Caritas le potete trovare qui.
Biografie parallele
Il racconto della propria storia Elena la fa partire dall’esperienza in parrocchia a Pontelagoscuro con ACR, Gi.mi e con la Caritas parrocchiale. Dopo la laurea in Lingue e Letterature straniere a Unife, e quella Magistrale a Bologna, nel 2013 in Caritas svolge il Servizio Civile: per un anno si occupa del servizio docce, della mensa e della distribuzione dei vestiti, prima di approdare a Casa Betania.
Maria Teresa, invece, dopo la laurea in Psicologia a Padova, nel 2017-2018 ha svolto qui il Servizio civile, ma un’esperienza in Caritas l’aveva già avuta con lo stage svolto negli anni al Liceo Ariosto. Nel 2018 viene assunta come operatrice.
Goccia per goccia
«Per un servizio come il nostro ci vuole elasticità mentale, la capacità di confrontarsi sempre con mille imprevisti», ci spiega Maria Teresa. «E a volte ti rendi conto che non sei capace». Una frustrazione che, però, invece che far demordere, diventa sprone per il continuo miglioramento di sé.
«In questo – interviene Elena – siamo aiutati dal fatto che facciamo tanto lavoro di équipe, che ci confrontiamo molto tra noi operatrici e operatori. Dal Direttore ai volontari, quando ci si parla non esistono gerarchie».
Di sicuro, questo è il regno della complessità dell’esistenza: «vediamo davvero tante sfaccettature della nostra società», prosegue. «In un certo senso, il nostro è un punto di vista “privilegiato”, vediamo cioè ciò che c’è nel mezzo. La narrazione dominante fuori di qui, invece, è spesso molto estremizzata, categorizza molto: i poveri o devono essere tutti buoni o tutti cattivi…».
«La vita – si collega Maria Teresa – è fatta di tante piccole cose, è quindi complessa, com’è poi quella di ognuno di noi, non solo dei poveri. E tutte queste piccole cose nel nostro lavoro le dobbiamo considerare, goccia per goccia».
Partire dai loro bisogni
Per affrontare questa complessità nel rapporto con la persona bisognosa, prosegue Elena, bisogna superare «l’idea che questa sia “patetica”, che non abbia opinioni, ma solo bisogni». Una sorta di paternalismo, il ridurre il povero solo ai suoi bisogni materiali.
«Qui anche noi non siamo mai esenti dal rischio di partire dal presupposto di capire di cosa il povero necessita», incalza Maria Teresa, «mentre è solo lui che sa di cos’ha davvero bisogno, lui è il miglior conoscitore di sé stesso. Come operatrici possiamo sempre migliorare – continua -, non dimenticando mai di ascoltarli, di chiedere innanzitutto a loro quali sono i loro bisogni. Emotivamente il nostro è un lavoro impegnativo, ed è emozionante quando vediamo i cambiamenti insieme a loro». Com’è bello veder anche nascere amicizie tra le stesse donne accolte, l’aiuto reciproco che si danno.
E la più grande soddisfazione è vederle uscire dal progetto e diventare autonome, donne finalmente libere, che lavorano, divenute – o tornate – capaci di far fronte ai loro bisogni.