Migranti, «non si può costruire l’Europa sulla solidarietà volontaria»
Il nostro Arcivescovo Mons. Gian Carlo Perego, presidente della Fondazione Migrantes, ha partecipato a Marsiglia ai Rencontres Méditerranéennes
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«Non possiamo costruire l’Europa sulla solidarietà volontaria«. Ne è convinto mons. Gian Carlo Perego, Arcivescovo di Ferrara-Comacchio e presidente della Fondazione Migrantes, a Marsiglia nei giorni scorsi per partecipare ai Rencontres Méditerranéennes, che hanno visto anche la presenza di Papa Francesco.
Illustrando al Sir l’andamento del dibattito tra i vescovi sulle migrazioni, dopo la presentazione delle cinque relazioni sulle rispettive rive del Mare Nostrum, mons. Perego ha evidenziato come «in molti luoghi è difficile accogliere le persone, c’è la consapevolezza di dover affrontare problemi comuni, ma ci sono anche dei bei tentativi di diverse realtà ecclesiali di rispondere alle provocazioni che le migrazioni lanciano alla nostra fede». «La secolarizzazione sta indebolendo lo spirito di accoglienza, che invece è tipicamente evangelico», ha detto il presule, secondo il quale a Marsiglia «è emerso il tema della responsabilità politica, anche dei cristiani»: «bisogna chiedersi quali risposte dare al fenomeno migratorio, per un maggiore impegno nella società. Si tratta di un impegno “ad extra’”, come si raccomanda nel quarto capitolo della Fratelli tutti, in cui il Papa invita ad una rinnovata politica al centro della quale ci sia la carità, l’attenzione alla dignità della persone, al bene comune, alla condivisione». In questa prospettiva, dunque, è urgente acquisire la capacità di concepire il Mediterraneo «non come luogo di scambi economici ma di solidarietà, intesa come appello a cui ogni singolo Paese deve dare il suo contributo».
A proposito dell’impegno della Chiesa italiana sul fronte delle migrazioni, mons. Perego ha fatto notare come «Lampedusa è una delle porte da cui arrivano i migranti, soprattutto dall’Africa. Il modello di Lampedusa è un modello su cui tutti dovremmo puntare: no ai grandi campi, sì invece all’accoglienza diffusa». L’Arcivescovo ci tiene anche a sfatare le rappresentazioni mediatiche, spesso errate e fuorvianti, che i media danno delle migrazioni: «In 10 anni in Italia è sbarcato un milione di persone ma 50mila sono quelle che si sono fermate». Attenzione ai destinatari dell’accoglienza, integrazione e inclusione sono le caratteristiche salienti del modello di accoglienza italiano, che si propone di «non fermarsi sui primi arrivi, ma puntare sull’inclusione e suoi ricongiungimenti familiari, essenziali per il futuro del nostro Paese e per far sì che le nostre città diventino il luogo di vita dei migranti». «L’accoglienza deve mettere al centro i diritti della persona, di tutta la persona, e la valorizzazione delle sue capacità», ha concluo mons. Perego, esprimendo l’auspicio che «il modello dell’accoglienza diffusa sia promosso sul territorio non solo italiano ma europeo. Non possiamo costruire l’Europa sulla solidarietà volontaria, ci vuole un modello fondamentale di convivenza da condividere».
Il Papa a Marsiglia: «c’è bisogno di un sussulto di umanità»
«Le nostre città metropolitane e tanti Paesi europei come la Francia, in cui convivono culture e religioni diverse, sono una grande sfida contro le esasperazioni dell’individualismo, contro gli egoismi e le chiusure che producono solitudini e sofferenze». Nell’omelia della Messa al Velodrome di Marsiglia, davanti a 60mila persone e al presidente Macron, il Papa ha chiesto un «sussulto» di umanità al nostro continente. Perché la fede «genera un sussulto dinanzi alla vita», e sussultare «significa essere toccati dentro, avere un fremito interiore, sentire che qualcosa si muove nel nostro cuore»: «È il contrario di un cuore piatto, freddo, accomodato nel quieto vivere, che si blinda nell’indifferenza e diventa impermeabile, che si indurisce, insensibile a tutto e a tutti, pure al tragico scarto della vita umana, che oggi viene rifiutata in tante persone che emigrano, così come tanti bambini non nati e tanti anziani abbandonati».
«Un cuore freddo e piatto trascina la vita in modo meccanico, senza passione, senza slanci, senza desiderio. E di tutto questo, nella nostra società europea, ci si può ammalare: il cinismo, il disincanto, la rassegnazione, l’incertezza, un senso generale di tristezza», l’analisi di Francesco: una vita «senza sussulti» è quella tipica di un’epoca dalle «passioni tristi». Chi è generato alla fede, invece, «riconosce la presenza del Signore, come il bimbo nel grembo di Elisabetta»: «Riconosce la sua opera nel germogliare dei giorni e riceve occhi nuovi per guardare la realtà; pur in mezzo alle fatiche, ai problemi e alle sofferenze, scorge quotidianamente la visita di Dio e da lui si sente accompagnato e sostenuto».