Il Guardaroba sociale di Caritas unisce storie e percorsi

Un luogo d’incontro dove si incrociano tante frontiere: il magazzino del Guardaroba sociale di Caritas unisce storie e percorsi diversi. Stare insieme per aiutare chi ha bisogno.

Un luogo d’incontro prima che di assistenza. Il magazzino del “Guardaroba sociale” di Caritas Ferrara vuole essere prima di tutto questo.

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«Qui in via Arginone 165 svolgiamo una delle attività più tradizionali della Caritas – racconta Michele, operatore – recuperiamo gli indumenti usati per distribuirli poi alle persone bisognose. La parrocchia di San Giacomo ci ha messo a disposizione questi locali perché noi stavamo cercando spazi più grandi rispetto a quelli della sede di via Brasavola per la raccolta, la selezione e lo smistamento degli abiti. Per Caritas questo, prima di essere  un servizio, vuole essere luogo d’incontro e relazione».

E in queste stanze, a smistare vestiti, si ritrovano infatti operatori, volontari, e persone assistite dalla Caritas: è un incrocio di tante frontiere, di percorsi diversi, dalle studentesse universatarie  impegnate nell’anno di volontariato sociale, ai detenuti in affidamento, agli stessi utenti del guardaroba: persone bisognose che si offrono di collaborare al servizio di cui esse stesse beneficiano.

«Noi facciamo servizio insieme, per stare insieme – prosegue Michele – le persone ci regalano gli indumenti che non usano più; noi li verifichiamo, che siano puliti e in buono stato,  li separiamo per tipologia e poi li portiamo alla mensa Caritas o in carcere, dove altri volontari li distribuiscono gratuitamente alle persone indigenti. Qui, al magazzino di via Arginone, non si fa distribuzione. Non eroghiamo nessun servizio. Ma chiunque passi per consegnare indumenti, chiederne per sé, o curiosare, lo invitiamo a fermarsi con noi e darci una mano, per il tempo che ha e vuole condividere, anche dieci minuti soltanto. Il nostro è un gruppo aperto, di partecipazione. A volte la gente abbandona i vestiti davanti alla porta del nostro magazzino, senza neppure accertarsi che sia aperto.   E spesso troviamo nei sacchi  indumenti sporchi e stracciati, da buttar via. Questo non ci interessa. Non siamo un’isola ecologica. Riciclare per i poveri gli abiti dismessi non è neppure il nostro obiettivo primario.  Di indumenti ne recuperiamo anzi fin troppi, tanto che abbiamo limitato la raccolta ai soli vestiti  da uomo, per le persone che vivono in strada, quasi esclusivamente maschi, e per i detenuti del carcere maschile di Ferrara.  Abbiamo provato a istituire anche un servizio di raccolta per donne e bambini, ma siamo stati letteralmente sommersi dai vestiti, tanto da non poterci neppure più  girare gli uni verso gli altri, completamente assorbiti da una frenetica attività di carico, scarico,  cernita, imballaggio…Non vogliamo che il servizio soffochi la relazione tra le persone, ma piuttosto che la sostenga e la promuova Che sia nell’incontro e nella collaborazione un dono e non una prestazione, sia pure di natura assistenziale. Così cerchiamo di costruire, intorno alla raccolta degli indumenti usati –  una delle attività  tradizionali della Caritas –  una piccola e accogliente comunità di servizio».

Che il magazzino di via Arginone sia un incrocio di tante frontiere, lo dimostrano le storie dei volontari e delle volontarie che troviamo impegnati, un pomeriggio come tanti, nell’attività di selezione e smistamento degli indumenti usati.

Kamand viene da Urmia, in Iran, ha 18 anni e qui a Ferrara è al primo anno di Fisica. «Ho studiato un anno e mezzo l’italiano e ho dovuto fare un esame richiesto dall’ ambasciata per ottenere il visto di studio – spiega in un italiano invidiabile – e l’ho fatto perché volevo venire a studiare Fisica all’Università di Ferrara, sapevo che collabora con il Cern ed è sempre stato il mio sogno poter lavorare lì. Sono stata fortunata, ho superato l’esame, l’ambasciata e l’Università mi hanno accettata come studentessa straniera e posso restare per la triennale. Per la magistrale si vedrà».

Kamand è arrivata a dicembre 2023 e ha scelto di fare la volontaria in Caritas perché sua madre da sempre collabora con la Croce Rossa. «Lei mi ha insegnato che devo aiutare gli altri,  così ho cercato un posto dove poterlo fare. Qui mi trovo bene, ho imparato cose che prima non sapevo, sulle persone, sui comportamenti, ho visto le famiglie in difficoltà, anche per strada, ora so meglio cosa succede nel mondo. Ho scelto Fisica perché sono affascinata dal concetto del tempo, nessuno sa come funziona, il mio obiettivo è poterlo studiare. E qui in Caritas mi ha colpito il fatto che i pensionati, invece di riposare, dedicano il loro tempo ad aiutare la gente, è un tempo che invece di essere per loro è per la comunità».

Anche Yahya, 31 anni, arriva da lontano e una parte del suo “tempo” lo ha passato a venire, passo dopo passo,  da Peshawar in Pakistan, a Udine in Italia. «Nel 2013 ho lasciato il Pakistan per fuggire dai Talebani che avevano occupa il mio villaggio e rapito mio fratello. Ho percorso molti chilometri a piedi, tra una frontiera e l’altra, e poi in camion, in auto, in moto, in treno, con qualunque mezzo trovavo per andare ancora avanti. Ho attraversato boschi, montagne, fiumi; mi sono fermato in Turchia un anno e di lì  poi ho attraversato  la Bulgaria la Serbia l’Ungheria. Quando la polizia mi fermava, mi sono sempre consegnato senza cercare di fuggire e senza  fare resistenza, perché io cercavo solo una vita migliore e questo non è un crimine. In Bulgaria mi hanno tenuto in carcere per tre mesi in condizioni terribili, ma poi mi hanno lasciato andare.  Infine nel 2015 sono arrivato in Italia, prima ad Udine e oggi a Ferrara. La mia vita  è stata segnata da molte  fatiche e anche  errori di cui ho pagato le conseguenze. Oggi la Caritas mi sta aiutando a rimettermi in cammino, sulla strada giusta, per trovare infine sicurezza e serenità, anche per la mia famiglia rimasta in Pakistan. E io cerco di restituire l’aiuto che ricevo facendo volontario  in mensa o qui, al magazzino del guardaroba».

Yahya aveva un permesso di soggiorno per  protezione internazionale che, alla scadenza, non è riuscito a rinnovare nei tempi prescritti dalla normativa, rimbalzando da un ufficio all’altro per ritrovarsi infine  intrappolato nel labirinto della burocrazia, in un limbo di precarietà sociale. Oggi finalmente con il sostegno della Caritas è riuscito a formalizzare la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno, di cui ancora non conosce l’esito, ma lo conforta che «qualcuno, almeno, in qualche ufficio,  si è finalmente accorto che esisto». «Aspetto di prendere il permesso di soggiorno per avere un lavoro. Senza quello vedo tutte le porte bloccate. E nel frattempo mi fa piacere dare una mano a persone che hanno bisogno perché so cosa vuol dire non avere niente».

Iulian vive in Italia da 25 anni, più della metà della sua vita, visto che ne ha 45. E’ arrivato dalla Romania. È panettiere e per molto tempo ha avuto una sua attività vicino a Cuneo. Poi, per motivi familiari,  che tace in un sorriso amaro “le cose della vita”, ha chiuso l’attività e si è trasferito a Ferrara, per ricominciare. «Adesso lavoro nella sicurezza. Alla Caritas mangio ogni tanto, alla mensa di via Brasavola, e prendo qualche vestito al guardaroba, perché non sempre ce la faccio a pagare tutto con lo stipendio. Mi sono sempre trovato bene, buon cibo, bei vestiti, anche firmati!. Poi adesso posso portare a lavare i miei indumenti sporchi, perché nel guardaroba è stato attivato anche il servizio di lavanderia: li porto il  martedì e vado a riprenderli puliti il venerdì. Per me anche questo è un aiuto importante perché non ho la lavatrice in casa. In Caritas un piatto caldo lo trovi sempre. Per questo se hanno bisogno,  li aiuto volentieri. Mi piace che mi considerano parte del loro gruppo; che sono la Caritas anche io».

Iran, Pakistan, Romania e, per aggiungere un’altra frontiera, anche Albania, paese di origine dei genitori di Viola, 24 anni, anche lei studentessa di Fisica, al terzo anno. «Sono nata in Italia, vengo da Rimini. A settembre 2023 l’Università ha mandato una mail agli studenti dove chiedeva chi fosse interessato a fare volontariato. Io l’ho sempre fatto a Rimini, e così ho risposto e  sono arrivata in Caritas. Quando sono venuta a vedere questi locali erano vuoti e sporchi, abbiamo pulito e imbiancato, ripristinato tutto, messo i mobili, i tavoli. E siamo partiti. Oggi arrivano ancora molte persone che lasciano i sacchi neri della spazzatura, con dentro i vestiti, davanti alla porta. Li abbandonano proprio. Per fortuna però molte altre hanno capito e vengono negli orari giusti. Noi smistiamo, selezioniamo e gli abiti usurati li scartiamo. Per me è un’esperienza molto bella, che ti fa sentire meglio, è la quotidianità che ti fa stare bene, portare avanti ogni giorno un progetto di solidarietà tutti insieme».