«Qui è una grande famiglia»: Carlo, “padre” di Casa Betania
Abbiamo incontrato Carlo Serico, giovane operatore dell’accoglienza nella nostra Caritas di Ferrara. Un punto di riferimento per i tanti bambini di Casa Betania
Fristelle, ivoriana, 25 anni, fin da subito ha dimostrato grandi capacità di apprendimento della nostra lingua. Col suo sguardo innamorato non perde mai di vista Timo, diminutivo di Timael, il suo piccolo di appena 7 mesi. Sono l’immagine plastica della voglia di riscatto delle donne accolte dalla nostra Caritas. Un passato difficile, di cui si fatica anche a parlare, e un presente fatto anche di sorrisi, di riconoscenza, di amicizie che nascono – magari con donne ucraine – nel contesto di Casa Betania
Timo e Fristelle ci accolgono mentre incontriamo un altro operatore dell’accoglienza della nostra Caritas, Carlo Serico.
INSTANCABILE TUTTOFARE
Venticinque anni, originario di Copparo, diplomato al Dosso Dossi indirizzo Architettura (è anche un bravo disegnatore), Carlo nel 2019 decide di svolgere il Servizio Civile in Caritas. «Consegnai la domanda l’ultimo giorno, perché non ne ero convinto, avendo anche alcuni pregiudizi, Pur desiderando di fare esperienza in un ente che aiutasse le persone in difficoltà. Col tempo, il mio punto di vista è cambiato radicalmente». Un cambiamento così importante che nel 2020, anno in cui è stato assunto, lo ha convinto anche di accettare la proposta di risiedere a Casa Betania, in un appartamento autonomo, svolgendo così anche il servizio di guardiania.
Iscritto al primo anno di Scienze Motorie, corso che frequenta on line, Carlo è davvero un tuttofare: «durante il Servizio Civile facevo gli accompagnamenti in ospedale, per il rinnovo della tessera sanitaria, e le lezioni di italiano a domicilio negli appartamenti delle ragazze. Da quando sono stato assunto, invece, ogni mattina, da lunedì a venerdì, assieme a Kateryna (leggi qui, ndr) facciamo il giro degli appartamenti» Caritas in città dove vivono donne e minori accolti: qui fanno il controllo pulizia, eventuali manutenzioni, si accertano che non ci siano problemi di convivenza. «Anche qui a Casa Betania, quando c’è un problema qualsiasi me ne occupo io, oltre ad occuparmi della documentazione degli appartamenti dedicati all’accoglienza e alle giacenze di Casa Betania».
IL PADRE DI TUTTI
Tutti i minori accolti dalla Caritas, il padre o non l’hanno più o non l’hanno mai conosciuto oppure vive lontano. Manca loro, ciò, la figura maschile fondamentale per la loro crescita. Non un aspetto secondario, quindi.
Di fatto, l’unica figura maschile sempre presente lì è Carlo. «Anche per questo si legano molto a me. Mi sento un po’ il padre di tutti». E si vede. Parlare con Carlo significa essere interrotti all’incirca ogni 5 minuti…: due bimbe nigeriane gli saltano in braccio, portandoli un “juice” (un succo di frutta), Andriy, bimbo ucraino, dice con un sorriso furbo: “Serico è bravo…”.
«È un’esperienza che mi ha arricchito e continua ad arricchirmi tanto», ci spiega ancora Carlo. «Ci tengo tanto a questi bambini: Casa Betania la vivo come fosse davvero una comunità, una grande famiglia. È chiaro che si tratta del mio lavoro, ma il lato umano non viene mai meno». Ma c’è anche un lato doloroso: «intuisci cosa possono aver sofferto: ad esempio, mi colpisce come i bimbi ivoriani all’inizio abbiano paura anche del termometro. E poi so che i bambini prima o poi se ne andranno da qui». Ma ci si abitua, e comunque le emozioni positive sono quelle dominanti».
UNA VITA “NORMALE”
Carlo cerca di inventarsi qualsiasi cosa per ricostruire una qualche normalità per queste donne e questi bambini carichi di sofferenza, di traumi.
Due settimane fa, ad esempio, aiutato da alcuni ragazzini ucraini, ha realizzato l’angolo giochi nell’ampio corridoio al piano terra. Piccole ma importanti trasformazioni sono avvenute qui: un nuovo tavolo per la scuola, alcuni banchetti dove i bambini possono disegnare, una libreria dedicata a loro.
Negli ultimi mesi, i bimbi ucraini (attualmente sono 8, fra cui due femmine, quasi tutti di 10-13 anni d’età) li ha coinvolti in alcuni piccoli lavoretti, per tenerli occupati, per insegnarli a impratichirsi e per coinvolgerli in qualcosa di creativo: oltre all’angolo giochi, insieme hanno realizzato due portachiavi, uno dei due con la bandiera ucraina, e hanno riallestito il gazebo al centro del chiostro, prima utilizzato per le persone in attesa del vaccino anti Covid, facendolo diventare la loro “casetta”. «E a volte la sera gioca a carte con loro o con le loro madri, o con la bella stagione giochiamo a pallone o a nascondino nel chiostro».
Quando c’è l’occasione, non mancano nemmeno piccole uscite a Parco Pareschi, sulle Mura, o ad eventi particolari, come l’anno scorso al Mercato Europeo. Ma lo sguardo non è rivolto solo al presente ma anche al futuro, con alcune idee rivolte ai bambini, alla loro cura e integrazione, e alle scuole.
Insomma, si tratta di un’esperienza difficile, complessa ma molto bella di convivenza interculturale. Un’esperienza che non può non segnarti nel profondo. Soprattutto se, come Carlo, sei sempre in prima linea.