Alcuni volontari della nostra mensa con i primi prodotti donatici dalla parrocchia Beato Tavelli

Avvento di Carità, la raccolta alimentare della parrocchia Beato Tavelli

Il dono è l’essenza del nostro Santo Natale. E anche nella nostra comunità diocesana iniziano a germogliare piccoli ma fondamentali gesti di gratuità.

Come quello della parrocchia cittadina del Beato Giovanni Tavelli da Tossignano che si è impegnata quest’anno in un Avvento di Carità: fino a Natale, ogni domenica mattina raccoglieranno, infatti, prodotti alimentari a lunga conservazione (pasta, biscotti, olio, tonno ecc. …) per destinarli alla nostra mensa di via Brasavola (per maggiori informazioni, leggi qui). La prima raccolta si è svolta il 3 dicembre.

Come Caritas diocesana esprimiamo la nostra gratitudine per questo importante gesto di solidarietà.

Richiesta donazione latte e passata di pomodoro

La nostra Caritas diocesana vive soprattutto grazie alle donazioni – di beni alimentari, vestiti e altro.

Ci sono però periodi, come questo, nei quali abbiamo bisogno in particolare di certi prodotti. Vi chiediamo, quindi, di donarci latte a lunga conservazione e passata di pomodoro per la nostra mensa di via Brasavola.

Un piccolo gesto che richiede pochi minuti e poco dispendio di denaro, ma per noi fondamentale.

Puoi portarci la donazione nella nostra sede di via Brasavola, 19 a Ferrara, dal lunedì al venerdì dalle 9.30 alle 17.00.

Telefono:  388 9706494
Mail: info@caritasfe.it

Grazie.

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Se vuoi aiutarci diversamente, diventa volontario!

Cinquant’anni di Caritas, una storia d’amore: le parole del nostro Vescovo

Giornata mondiale dei poveri – 19 novembre 2023 – Basilica di San Francesco, Ferrara

Omelia di S.E. Mons. Gian Carlo Perego

Arcivescovo di Ferrara-Comacchio

[Leggi qui la nostra storia]

Cari fratelli e sorelle, cari presbiteri, cari volontari, operatori e operatrici di carità, quest’anno la celebrazione della Giornata dei poveri – il cui tema è l’invito a “Non distogliere lo sguardo dal povero”, da un versetto del Libro di Tobia –  cade nell’anniversario dei cinquant’anni della nascita della Caritas diocesana di Ferrara e di Comacchio. Infatti, il 4 e il 6 novembre del 1973 S. E. Mons. Natale Mosconi, mio venerato predecessore, firmava i due decreti istitutivi delle Caritas diocesane di Ferrara e Comacchio, due Diocesi unite in persona episcopi. Questa ricorrenza giubilare diventa l’occasione per continuare a “camminare nella carità”, con uno stile sinodale, animati dalla Parola e dall’esempio del Signore, seguendo la scelta preferenziale dei poveri.

È provvidenziale che la nostra riflessione oggi parta dalla parola di Dio che ci ripropone, con la pagina evangelica di Matteo, la parabola dei talenti. Infatti, questa pagina evangelica precede la pagina evangelica del Giudizio universale, come per dire che l’altruismo, l’amore al prossimo, lo “sguardo al povero” prepara il nostro futuro. I talenti sono doni da condividere, non da nascondere. I talenti aiutano la crescita di una comunità, di una città: vanno spesi. I talenti che si sono trasformati in accoglienza dello straniero, visita al detenuto, cura del malato, attenzione ai poveri vecchi e nuovi costruiscono il presente e preparano il futuro, la vita eterna. Celebrare il cinquantesimo della nascita Caritas è ricordare a noi stessi e alla Chiesa che i doni di intelligenza, di beni che abbiamo in questa vita vanno condivisi, da fratelli, e con i fratelli più poveri. La Caritas è nata per educarci a questo amore, a questa condivisione, a questa scelta preferenziale per i poveri. Nell’udienza del 20 settembre 1972, San Paolo VI, un anno dopo aver fondato la Caritas Italiana, diceva: “Tutta la vita diventa amore. Amore vero, amore puro, amore forte, amore felice. E a questa prima dilezione, ch’è religiosa, come vedete, e non può essere altrimenti, è connessa la seconda, la dilezione del prossimo, sia come scala per salire all’amor di Dio (Cfr. 1 Io. 4, 20; S. Aug. Tract. in Io., 17, 8); sia come motivo per applicare l’attività propria a servizio e a beneficio del prossimo (Cfr. Rom. 13, 8-10;1 Tim. 1, 5). E continuava: “Se noi, noi cristiani avessimo compreso questo Vangelo dell’amore, la sua legge, la sua necessità, la sua fecondità, la sua attualità, non ci lasceremmo sorprendere dal dubbio che il cristianesimo, la nostra fede (Gal. 5, 6) sia incapace a risolvere nella giustizia e nella pace le questioni sociali, ma che occorra attingere questa capacità al materialismo economico, all’odio di classe e alla lotta civile, col pericolo di affogare la nostra professione cristiana nelle ideologie di chi la combatte e di dare alle questioni umane soluzioni amare, illusorie e fors’anche alla fine antisociali e antiumane”.

Purtroppo, queste soluzioni “antisociali e antiumane” che San Paolo VI ricordava ci sono davanti: nel mondo, in Europa, nel nostro Paese, anche nella nostra città. Il cammino della Caritas in questi cinquant’anni ha aiutato la nostra Chiesa a tenere al centro il Vangelo dell’amore, nell’ascolto, coniugato in tante occasioni: dalle emergenze – la prima fu il terremoto del Friuli nel 1976 – all’accoglienza dei profughi e dei rifugiati, dalle mense alle case famiglia, dalla vicinanza ai senza dimora a visita ai carcerati, dall’esperienza degli obiettori di coscienza al servizio civile, per educare uomini di pace, dalle vittime di tratta alle famiglie schiave degli usurai: sono tante le pagine e le storie che la Caritas diocesana ha scritto in questi cinquant’anni, che in maniera originale hanno coniugato il Vangelo dell’amore. La carità si rigenera sempre. La carità crea sempre: crea nuove relazioni, responsabilità diverse, nuovi strumenti, rinnovate situazioni, appassionate denunce. La carità è generativa, non abitudinaria; non ripete semplicemente, ma rinnova, si apre alle sorprese della vita e della storia.

Nell’enciclica Fratelli tutti, Papa Francesco ci ricorda questa varietà e generatività della carità con un esempio molto efficace. “È carità stare vicino a una persona che soffre, ed è pure carità tutto ciò che si fa, anche senza avere un contatto diretto con quella persona, per modificare le condizioni sociali che provocano la sua sofferenza. Se qualcuno aiuta un anziano ad attraversare un fiume – e questo è squisita carità –, il politico gli costruisce un ponte, e anche questo è carità. Se qualcuno aiuta un altro dandogli da mangiare, il politico crea per lui un posto di lavoro, ed esercita una forma altissima di carità che nobilita la sua azione politica”. (F.T.186). Ogni gesto e ogni struttura di carità nella Chiesa hanno al centro la persona e la sua promozione, valorizzazione, coniugando carità e giustizia. Promuovere una persona significa riconoscerne le capacità, significa riconoscere la sua originalità. Il passaggio fondamentale nella Chiesa e nella società del ‘900 è stato quello non solo di creare semplicemente luoghi di assistenza, ma di valorizzare le competenze delle persone povere e fragili e il loro ritorno in città. Le leggi sociali del Dopoguerra in Italia sono tutte segnate da questa preoccupazione: la legge Merlin, la legislazione sul riconoscimento di pari diritti dei figli nati fuori dal matrimonio, la legge Gozzini e l’alternativa di pena, la legge Basaglia, il nuovo diritto di famiglia, il nuovo sistema sanitario, la legge quadro sull’assistenza: tutte ispirate dalla Costituzione italiana. Il processo si è fermato negli ultimi decenni, anche se formalmente non è venuto meno, ma si è indebolito, un Welfare universalistico, con i cambiamenti demografici, le migrazioni, l’aumento della spesa dello Stato, le privatizzazioni sanitarie. In questo tempo di ripresa e di resilienza occorre favorire strategie e progetti che consentono di non generare dipendenza e clientelismo e al contempo di non dimenticare, lasciare indietro nessuno e, anzi, di valorizzare l’unicità di cui ciascuno è portatore. Per fare questo occorre fare spazio nelle nostre co-progettazioni al contributo della persona in difficoltà, favorendo un’espressione, riconoscimento e sviluppo delle proprie risorse in funzione del raggiungimento di una nuova autonomia. Si tratta di rigenerare l’Welfare secondo una prospettiva nuova che veda anche i soggetti deboli protagonisti di un percorso di rinascita e di realizzazione. La Caritas nella nostra Chiesa e nella società, con il contributo di laici, uomini e donne, preparati e appassionati, deve avere questa capacità educativa e rigenerativa, in forza della fede in Gesù Cristo e della storia della carità nella Chiesa, un diritto sempre difeso.

Oggi la carità si traduce in una responsabilità diffusa, in una prossimità di cura, nella ricerca della giustizia, nel volere la pace nella non violenza, nel guardare al mondo come dono, come ‘creato’. Già il Concilio Vaticano II aveva sottolineato questo impegno di carità come dimensione popolare, sottolineando come nell’oggi la carità si traduce anche in ‘servizi segno’ ricordati al n. 42 della costituzione Gaudium et spes: “Dove fosse necessario, a seconda delle circostanze di tempo e di luogo, anche la Chiesa può, anzi deve suscitare opere destinate al servizio di tutti, ma specialmente degli ultimi, come per esempio opere di misericordia”. Nella stessa linea va anche la seconda parte dell’enciclica di Benedetto XVI, Deus caritas est. Il compito immediato di operare per un giusto ordine nella società è proprio di fedeli laici. Come cittadini dello Stato, essi non posso abdicare alla ‘molteplice e svariata azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale, destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune. Missione dei fedeli laici è pertanto di configurare rettamente la vita sociale, rispettandone la legittima autonomia e cooperando con gli altri cittadini secondo le rispettive competenze e sotto la propria responsabilità (…). La carità deve animare l’intera esistenza dei fedeli laici e quindi anche la loro attività politica, vissuta come “carità sociale” (D.C.E.29).

Cari fratelli e sorelle, cari presbiteri, cari volontari e operatori di carità, mentre ricordiamo cinquant’anni di cammino di carità, con i sacerdoti che l’hanno guidata e ci hanno lasciato – da Mons. Francesco Ravagnani a don Silvio Padovani, da don Virginio Sacco a don Paolo Valenti – e i molti laici e meravigliosi volontari collaboratori, l’ultimo dei quali che ci ha lasciato è stato Giorgio Forini, il Signore ci accompagni a continuare in maniera originale questo cammino di carità, con un rinnovato sguardo al povero, volto di Cristo, come ci ricorda papa Francesco: “La fede ci insegna che ogni povero è figlio di Dio e che in lui o in lei è presente Cristo”. Così sia.

Ascolto e accoglienza: quella della Caritas di Ferrara è la storia di un dono vivo

Il 4 novembre 1973 nasce la Caritas Ferrara e due giorni dopo quella di Comacchio. Il racconto di alcune tappe fondamentali: dal fondo diocesano di solidarietà fino alla nascita del Centro di Ascolto, della mensa e di Casa Betania per l’accoglienza. Inoltre, i dati aggiornati degli assistiti dalla nostra Caritas diocesana

[Leggi qui le parole del nostro Arcivescovo]

A cura di Andrea Musacci

Un avvicendarsi di volti, storie, luoghi. Di incroci di vite riscattate nel dono dato e in quello ricevuto. Una narrazione poco appariscente ma che nei solchi del quotidiano ha scavato in profondità nella carne di esistenze altrimenti dimenticate, abbandonate. È questo, e molto di più, la storia della nostra Caritas diocesana, una storia che festeggia quest’anno i primi 50 anni di vita.

La Caritas diocesana di Ferrara fu istituita dall’Arcivescovo Mosconi il 4 novembre 1973 (e due giorni dopo nacque quella di Comacchio) e dotata di un proprio statuto, nel quale venivano recepiti gli scopi proposti nella bozza di statuto per le Caritas diocesane stilata dal Consiglio Permanente della CEI del febbraio 1973. La Caritas Italiana venne invece costituita due anni prima, il 2 luglio 1971.

ANNI ’70 E ’80: UN NUOVO/ANTICO MODO DI INTENDERE LA CARITÀ

L’Arcivescovo Mosconi nomina come primo segretario della Caritas di Ferrara (allora la carica si chiamava così) mons. Francesco Ravagnani, allora parroco di S.Paolo a Ferrara, e dedica la prima domenica di quaresima alla Caritas diocesana, intitolandola la “giornata della carità”, con l’invito “Date e vi sarà dato”. Col ricavato annuale viene costituito il “fondo diocesano di solidarietà”. E fin da subito fu stretto il legame con la missionarietà: «la Quaresima del 1978 fu (…) vissuta in collaborazione tra Ufficio missionario e Caritas diocesana, che in quegli anni pare comunque faticare a trovare un proprio specifico spazio, stretta fra il ricordo della Pontificia Opera di Assistenza e le iniziative caritative libere e spontanee. Sul “Bollettino ecclesiastico” del 1978 il segretario della Caritas ferrarese, mons. Francesco Ravagnani, tentava un chiarimento e auspicava una collaborazione tra le forze in campo, presentando la Caritas come “un organo pastorale che promuove e coordina l’attività caritativa e assistenziale della chiesa locale”» (da M. Turrini, Dalle “retrovie” delle missioni alla Chiesa tutta missionaria. Il Centro missionario diocesano di Ferrara-Comacchio (1929-2000) (Cedoc SFR, Ferrara 201)).

Sfogliando “La Voce” dell’ultimo mezzo secolo, scopriamo come a Comacchio «la Commissione Pastorale “Caritas” diocesana, in data 12 dicembre 1973, si è riunita al completo per la formazione di un programma annuale di massima». E insieme all’organizzazione delle prime opere, la Caritas di Ferrara ci tiene a specificare quale sia la propria essenza. In alcuni articoli del febbraio ’74 si specifica innanzitutto che «”carità” in tutto questo contesto non è sinonimo di “assistenza”». «L’elemosina è stata l’espressione più tipica di carità. Senza voler disprezzare quanto di sincero, di sempre valido e di utile vi possa essere in ciò, però sono evidenti due gravi errori in questa impostazione. Ora non si tratta più soltanto di soccorrere il bisognoso; la cosa fondamentale è riconoscerlo come uguale, desiderare il suo sicuro sviluppo come essere umano, affinché in un clima di giustizia e di libertà possa realizzarsi come tale». Scopi specifici della Caritas diocesana sono «animazione della carità nelle Chiese locali; coordinamento delle attività assistenziali; studi e ricerche su problemi assistenziali; formazione del personale assistenziale; interventi di emergenza; aiuti al terzo mondo». E ancora: «La Caritas diocesana non va configurata come una sezione territoriale della Caritas Italiana, ma come espressione originale di ogni Chiesa particolare».

Nel ’76 la Caritas ferrarese lancia raccolte fondi per i terremotati del Guatemala, per i disoccupati locali della S.A.I.M.M. e S.A.D.A. e per i terremotati del Friuli e della Turchia.

Nel primo decennale (novembre 1983) vengono pubblicati i nomi dei membri della nuova Commissione Caritas della Diocesi di Ferrara: oltre a don Silvio Padovani (nuovo Direttore) e al Vescovo Maverna (Presidente), ci sono mons. Francesco Ravagnani (ex Direttore), padre Atanasio Dudri (S. Spirito), don Gianalfredo Deponti (S. Benedetto), Francesco Gunther, Giovanni Pietrogrande, Velino Tonioli, Alfredo Santini, Giuliana Calzolari, Franca Pozzati, Angela Cervellati, Andrea Bregoli e suor Vincenzina Nadalin (Istituto Sacro Cuore). 

ANNI ’90: NASCE IL CENTRO DI ASCOLTO

Facciamo un salto e arriviamo al 1994. «Sabato 22 gennaio alle ore 15 al Cenacolo – si comunica sulla “Voce” – parte il primo incontro formativo organizzato dalla Caritas diocesana rivolto in particolare ai gruppi delle Caritas parrocchiali e ai Consigli pastorali parrocchiali. L’incontro sarà guidato da fratel Italo Pasetti, responsabile diocesano degli Obiettori Caritas che parlerà sul tema “Dall’elemosina all’amore evangelico: riflessione sul cap. 25 del vangelo di Matteo”». Quella degli Obiettori passati per la nostra Caritas è una storia che meriterebbe davvero un servizio a parte: centinaia di giovani che hanno dedicato anni della propria vita al servizio degli ultimi della nostra città, un segno di pace concreto e che ha trasformato le loro esistenze.

Prima del 1994 la Caritas faceva principalmente distribuzione di indumenti assieme alle suore del vicino Istituto Sacro Cuore di via Borgo di Sotto, oltre ad aiutare economicamente chi aveva bisogno. Nel ’94 in via Brasavola a Ferrara viene aperto il Centro di Ascolto (intitolato al Beato Giovanni Tavelli da Tossignano, Vescovo fondatore del primo nucleo dell’Ospedale S. Anna), un punto di riferimento fondamentale per la città: così, la Caritas inizia il trasferimento dalla Curia Arcivescovile alla zona di Borgovado. Il Centro viene costruito con l’importante contributo della Fondazione della Cassa di Risparmio di Ferrara. Spiegava don Valenti: «Vengono da noi ex carcerati per le prime necessità, extra comunitari, i senza fissa dimora, i nomadi e, più di quanto si possa immaginare, le famiglie povere della città segnalate dalle Conferenze S. Vincenzo e dalle parrocchie». 

Sempre don Valenti, nel fare il bilancio del suo primo anno da Direttore Caritas diocesana, spiegava a “La Voce”: «Gli albanesi che finora vi erano ospitati [negli ambienti di via Brasavola, ndr] sono andati altrove perché hanno superato bene la fase di emergenza e possiamo ritornare al progetto iniziale». Il Centro di Ascolto è «dotato di una mensa per i poveri di passaggio, un dormitorio, un punto per la raccolta e la distribuzione di generi alimentari e indumenti. Ma soprattutto il Centro dovrà diventare il luogo al quale rivolgersi per tutte le necessità, liberando così l’Ufficio Caritas della Curia che potrà dedicarsi con più attenzione ai suoi compiti pastorali». Nel Centro di Ascolto sono attivi fin da subito una decina di volontari, 6 obiettori di coscienza condivisi con Casa Betania, Suor Lanfranca delle Suore della Carità e don Giovanni De Togni. Da lunedì al venerdì nella mattina tutti sono impegnati nell’ascolto delle persone e nella distribuzione di generi alimentari e di vestiario. Il Centro dispone anche di cinque camere per ospitare di notte i senza tetto.

CASA BETANIA E LA NUOVA MENSA PER I POVERI

E a proposito di ospitalità, lo stesso don Valenti parlava di Casa Betania, casa dell’ospitalità. Ex sede dell’asilo “Grillenzoni”, terminata tale funzione, il Comune la cedette alla Caritas, allora diretta da don Silvio Padovani, «con lo scopo di raccogliere studenti universitari stranieri anche attraverso l’ausilio di una piccola comunità di religiose Nigeriane»: «guidata da Gennaro Sitta, ospita oggi [nel 1994, ndr] 30 studenti provenienti da Paesi in via di sviluppo. Il silenzio nel quale svolge il lavoro purtroppo forse la fa scomparire dall’attenzione dei ferraresi e quasi rifluire nel privato. Betania invece è un’opera della diocesi e vive dell’aiuto di tutti. Perché per esempio le famiglie e le parrocchie non si fanno carico del mantenimento di uno studente?». 

Nell’ottobre del ’94 la Caritas diocesana risponde a un’altra necessità: quella di una mensa per i poveri, che inaugura il 6 ottobre ed è aperta dalle 13 alle 14, con, per iniziare, «una ventina di pasti confezionati nella cucina del Seminario». Nel primo decennale della mensa, don Valenti racconterà a “La Voce”: «Nei primi mesi del mio incarico, mi accorsi che gran parte delle richieste che giungevano al nostro Ufficio riguardavano l’esigenza di un pasto caldo. L’unica risposta allora possibile era dare un po’ di denaro in mano, anche se mi resi conto che questa non poteva essere la soluzione, per un motivo molto semplice: dare denaro direttamente non consentiva un adeguato controllo sull’effettivo utilizzo di quella risorsa, che spesso finiva per arricchire i bar e fomentare il disagio dell’alcolismo, o peggio della droga, nonché dell’accattonaggio. Nacque così l’esigenza di avere una struttura adeguata che potesse fornire una minima risposta, che venne individuata nell’attuale sede della mensa di via Brasavola». Nel 2004, grazie a circa 80 volontari, vengono serviti oltre 300 pasti. «Durante questi dieci anni si sono verificati cambiamenti, ma sostanzialmente le tipologie restano le stesse: immigrati, anziani che vengono per mangiare in compagnia e non in solitudine, studenti universitari stranieri che risparmiano i soldi della mensa universitaria, e a volte tossicodipendenti». Nel 2004, un incontro in Arcivescovado e una S. Messa in Duomo festeggeranno i primi dieci anni di questo servizio ancora oggi così fondamentale.

ANNI ’90: GLI ALTRI SERVIZI

Gli anni ’90 vedono anche la nascita nel ‘95 di un «ambulatorio medico servito da una ventina di medici volontari, aperto da mezzogiorno all’una», per gli extracomunitari. Inoltre, raccontava sempre don Valenti, «oltre a “Casa Betania”, in via Borgovado, 7, dove viene data ospitalità a 27 studenti stranieri, è stato appena terminato il Centro di Accoglienza a Comacchio, che avrà gli stessi servizi di Ferrara (…). Per settembre è in programma, e hanno già aderito una ventina di dentisti, l’apertura di un ambulatorio dentistico per indigenti (…). Va poi ricordato che la Caritas fornisce anche un servizio di consulenza legale gratuito, che può contare su una decina di avvocati presenti una volta alla settimana, – il venerdì pomeriggio, per due ore -, particolarmente esperti nei problemi che riguardano gli extracomunitari». Un’azione a 360 gradi, dunque. E siamo nel ’98. Un anno dopo, l’annuncio del progetto di trasformazione di Casa Betania in luogo di accoglienza per donne, ragazze-madri, famiglie di ospedalizzati residenti fuori Ferrara, anche in vista del Giubileo del 2000. Ma i lavori da fare si riveleranno più importanti di quel che ci si aspettava.

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IL PASSATO. I Direttori della nostra Caritas diocesana

Mons. Francesco Ravagnani, originario di Castelnovo Bariano (RO), nato nel 1920, ordinato sacerdote nel 1947, fu Direttore della Caritas Ferrara dal 1973 al 1982. Oltre a quest’incarico, fu anche Assistente ecclesiastico e tra i fondatori dell’Associazione “Beato Tavelli da Tossignano” per sostenere le scuole materne, dal 1955 al 1968 parroco di Ravalle, e poi, fino all’84, anno della sua morte, di San Paolo a Ferrara. Fu anche Membro della Commissione interdiocesana per l’assistenza sociale e di quella per gli asili parrocchiali.

Don Silvio Padovani, originario di Burana, nato nel ’29 e deceduto nel 2016, fu Direttore Caritas dal 1982 al 1993. Ordinato sacerdote nel ’59,è stato parroco prima a Viconovo, poi a Serravalle (dal ’67 al ’73), due anni a Quacchio e poi a S. Caterina Vegri dal 1976 al 2010. Per qualche anno ha retto anche la chiesa di Santa Rita.

Don Paolo Valenti fu Direttore Caritas Ferrara dal 1993 al 2013. Nato a Sassari nel 1958, ordinato sacerdote nel 1982, è stato, fra l’altro, parroco di S. Biagio di Bondeno, dell’Addolorata (2000-22), Vice rettore del Seminario maggiore (1983-’88) e Rettore (2018-2022).Dal  2013 è stato Assistente ecclesiastico Caritas diocesana, Direttore Caritas regionale per alcuni anni, a partire dal ‘96, vicario episcopale per la Carità pastorale dal 2017. È tornato alla Casa del Padre nel 2022.

Paolo Falaguasta, Direttore in carica, ha assunto il ruolo nel 2013.

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IL PRESENTE. I dati della povertà

Gli assistiti totali da Caritas diocesana e dalle Caritas parrocchiali sono in aumento: nel 2019 erano 1089; nel 2020, 1181; nel 2021, 1275; l’anno scorso sono stati ben 250 in più: 1523 persone.

Nel 2022 nella sede Caritas di via Brasavola e nelle Caritas parrocchiali sono state 215 le persone assistite che fanno lavori stagionali, a chiamata, oppure stage o tirocini dopo aver perso il lavoro. Solo un anno prima erano 115, e nel 2020 erano 46. E gli occupati che si sono rivolti alle nostre Caritas, negli ultimi tre anni sono stati mediamente 150 all’anno. Interessante anche il numero delle persone assistite da Caritas in possesso di una laurea, raddoppiato dal 2021 al 2022.

Nel 2023 (dati  fino al 31 ottobre) gli assistiti sono 1511, di cui 951 stranieri e 560 italiani. Come età, il gruppo maggiore ha 35-44 anni (394 persone), 25-34 (328), 45-54 (296), 55-64 (209), 65-74 (140). Seguono i giovani 19-24 (92), gli over 75 (44) e i 15-18 (5). 383 di questi ha la licenza media, ma non mancano i laureati (105) e chi è in possesso di diploma universitario (21).

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Domenica 19 novembre la Giornata dei Poveri

Domenica 19 novembre, in occasione della Giornata Mondiale dei Poveri, mons. Gian Carlo Perego ha celebrato una S. Messa alle ore 18 in San Francesco per ricordare tutti i volontari, gli operatori, i sacerdoti e i laici grazie ai quali la Caritas ha operato per 50 anni in Diocesi. Caritas Italiana era nata nel 1971 per volontà di Paolo VI, e per volontà di mons. Natale Mosconi, vede la luce il 4 novembre 1973 la Caritas diocesana di Ferrara cui fa seguito quella di Comacchio il 6 novembre dello stesso anno, entrambe con un proprio statuto pubblicato sul Bollettino Ecclesiastico 9-12 (1973) e tra le prime in Italia. Cinquant’anni di carità nello spirito del Concilio Vaticano II, che aveva fatto della figura del Buon Samaritano, l’immagine della spiritualità del Concilio stesso. La celebrazione del mezzo secolo di Caritas diocesana diventa quindi motivo di una riflessione sulla scelta preferenziale per i poveri, sullo stile della carità cristiana e sull’utilizzo di questo strumento che, oltre che a livello diocesano, l’Arcivescovo auspica diventi «una delle strutture portanti dell’Unità Pastorale». «I poveri li avrete sempre con voi», prosegue mons. Perego in una lettera indirizzata ai sacerdoti. «Questa presenza chiede una prossimità rinnovata nelle diverse stagioni della vita della Chiesa: una “conversione al prossimo” – come la chiamava mons. Natale Mosconi – a cui nessun cristiano e nessuna comunità può sottrarsi».

(Le foto sono di operatori, volontari e ospiti della Caritas di via Brasavola negli ultimi anni)

Poliambulatorio a Casa Betania, storie di sofferenza e vicinanza

I racconti di tre medici volontari Caritas e i dati del 2023

Il lavoro del medico, lo sa bene chi lo svolge, è una professione particolare, vista la vicinanza con le persone e la delicatezza del compito.Diversi medici in pensione hanno scelto di proseguirlo in modo diverso, diventando volontari del Poliambulatorio Caritas a Casa Betania, Ferrara. Abbiamo incontrato tre di loro, Liliana Pittini (ginecologa), Chiara Benvenuti (pediatra) e Giancarlo Rasconi (direttore del Poliambulatorio Caritas e medico in pensione di medicina generale) (foto). Ci raccontano innanzitutto dell’apporto di due nuovi operatori – Bakary Kone (OSS) e Sarah Divas Bomboma (iscritta al quinto anno di Medicina) – che svolgono l’importante lavoro di segreteria, e dell’accordo col SISM (Segretariato Italiano Studenti in Medicina) di Ferrara per far svolgere tirocini di una settimana a studenti di Medicina a UniFe nel nostro Poliambulatorio Caritas:ogni settimana, quattro studenti si alternano per una prima esperienza sul campo. Importante anche il supporto fornito dall’ecografista Davide Sighinolfi e dalla neurologa Luisa Maria Caniatti.

Come pazienti, «a noi si rivolgono quasi sempre persone straniere che hanno difficoltà ad abituarsi a rivolgersi ai servizi del Sistema Sanitario Nazionale – ci spiegano i tre medici volontari -, e considerano invece il nostro Poliambulatorio un luogo più facilmente e immediatamente accessibile. Svolgiamo quindi un ruolo vicariale, non alternativo alla Sanità pubblica, per situazioni che non sono, o non sono ancora, in carico al Sistema Sanitario Nazionale. In questi primi dieci mesi del 2023 – proseguono – abbiamo riscontrato un passaggio dalla lingua anglofona (soprattutto dalla Nigeria) a una prevalenza di persone di lingua francofona (da Camerun, Costa d’Avorio, Guinea, Mali). Ma da noi arrivano anche italiani, come ad esempio ex detenuti, senzatetto, persone che si spostano da una Regione all’altra o che vivono altre forme di emarginazione». E a proposito di trasferimenti frequenti e improvvisi, Pittini, ad esempio, ci spiega come il suo servizio di ginecologia «tratti prevalentemente donne da poco arrivate nel nostro Paese, quindi i primi accessi, fra i quali si registra un turnover sempre più elevato. Avolte, queste persone rimangono non più di una settimana-dieci giorni nella nostra città. In generale, una delle problematiche più frequenti con i pazienti che seguo – prosegue – è il fatto  che non riescono a fidarsi, o non subito, di noi medici. Altre persone, invece, hanno il desiderio di raccontarci la loro storia e a volte di sfogarsi per le violenze subite».

«Come pediatria – spiegano poi Rasconi e Benvenuti – registriamo difficoltà linguistiche e culturali, che nel caso di pediatria si traduce anche nell’impossibilità di spiegare al medico la storia del proprio bambino» (a volte anche di pochi mesi di vita), e quindi i possibili problemi che ha vissuto. E Rasconi ci racconta a volte delle difficoltà, «superiori alla media, di essere consapevoli dell’importanza della continuità di una terapia eventualmente indicata dal medico».

Ma un altro capitolo drammatico lo apre Pittini: quello delle mutilazioni genitali femminili. «Alcune donne ci richiedono la certificazione che dimostri che hanno subito questo tipo di violenza, documento utile per la richiesta di asilo.E mi è capitato che una madre me lo chiedesse anche per la propria figlia di appena 7 anni». Oppure c’è il caso che ci racconta Rasconi, di un migrante che ho visitato alcuni giorni fa, «con un callo osseo nel costato  conseguenza di un colpo ricevuto in Libia col calcio di un fucile».

Un lavoro non facile, dunque, ma che riserva anche soddisfazioni importanti a livello umano: come ad esempio, il sapere che dopo mesi o anni, «persone assistite si sono integrate nel nostro tessuto sociale, o donne che tornano nel nostro Poliambulatorio per rifare la vaccinazione antinfluenzale che avevano fatto durante la gravidanza». E, per la pediatria, la bellezza «di vedere bambini in salute e la loro commovente relazione con la madre».Immagini che danno speranza:quella che i piccoli possano vivere un futuro migliore del passato dei loro genitori.

I dati del Poliambulatorio (primi 9 mesi del 2023)

I numeri riferiti a settembre 2023, parlano di 1663 accessi totali nel Poliambulatorio Caritas di Ferrara.In tutto il 2022, erano stati 2311.Nel dettaglio, in questi primi nove mesi sono stati 1371 gli accessi a Medicina generale, 119 a Pediatria e 173 a Ginecologia. Nello specifico, nell’Ambulatorio di Medicina generale, dei 1371 accessi, 846 sono stranieri, 104 italiani, 158 richiedenti asilo e 263 STP/ENI (Stranieri Temporaneamente Presenti/cittadini comunitari). 

L’integrazione è una relazione: al via due nuovi progetti Caritas

Pensati per donne e minori stranieri, si svolgeranno nella sede di viale Po a Ferrara

Per sua natura, la costruzione della carità non può non avvenire nell’urgenza del presente e al tempo stesso non può non avere uno sguardo spalancato sul futuro. La nostra Caritas diocesana questo lo sa bene ed è per questo che ha organizzato o collaborato a due importanti progetti rivolti a donne e minori stranieri.

I due corsi si svolgeranno al piano terra dello stabile di viale Po, 8, di proprietà della Caritas, che accoglie già alcune donne straniere con minori e forse in futuro uno studentato. Un edificio, quindi, già dedicato a questa tipologia di accoglienza (prima del periodo Covid si svolgeva un corso di italiano, uno di alfabetizzazione digitale, e attività di libera aggregazione per le donne e i bambini lì accolti) e che ora si anima di nuove e importanti attività.

Progetto “Crescere insieme” 

Il primo dei due progetti, “Crescere insieme”, ideato e portato avanti dalla nostra Caritas diocesana (e reso possibile grazie all’8xmille, al 5×1000 e alla donazione della Fondazione Fornasini), è pensato per favorire lo sviluppo fisiologico del bambino sostenendo il genitore nel suo accudimento. «Dopo un primo mese di rodaggio con le nostre ospiti – ci spiega Marika Belmonte, Assistente sociale Caritas -, nei prossimi mesi lo apriremo a donne con difficoltà economiche interessate. Avendo a che fare con minori ospiti nei nostri appartamenti, nell’ambulatorio e nel nostro Centro di Ascolto, abbiamo notato come molti di loro abbiano problemi e carenze comportamentali, linguistiche, nutrizionali e relazionali, causati soprattutto dalla marginalità socio-economica nella quale vivono. Ciò porta questi minori a rimanere soli nel contesto in cui abitano, tendendo così ad autoisolarsi». 

Obiettivo del progetto è quindi quello di favorire lo sviluppo fisiologico, il benessere psicosociale e l’integrazione del bambino all’interno del contesto dove vive, attraverso il supporto e l’accompagnamento del genitore. Nello specifico, si cercherà di favorire il progressivo sviluppo del linguaggio verbale, l’educazione alimentare e il supporto alla genitorialità.

Come primo passo, verrà fatta una valutazione neuropsichiatra e neuropsicologica del minore e poi, in base ai bisogni, lo si farà seguire da una specifica figura professionale. Infine, saranno previsti due monitoraggi, a 6 mesi e a 1 anno. In questo progetto sono coinvolti, quasi tutti come volontari, una psicologa, un assistente sociale, una pediatra, un’ostetrica, una neuropsichiatra infantile, un logopedista, alcuni educatori e meditatori. Per favorire l’ambito relazionale del minore, saranno previste anche attività ludico-ricreative.

«In genere – continua Belmonte -, queste persone non accedono ai servizi pubblici di questo tipo, o perché non ne sono a conoscenza o perché scelgono di non accedervi. Caritas, invece, è uno dei pochi servizi a cui si rivolgono. La nostra proposta, quindi, intende aiutarli per poi indirizzarli ai servizi pubblici già esistenti». È importante quindi specificare che non si tratta di un’attività ambulatoriale ma solo di consulenza, dunque di affiancamento ai servizi comunali presenti sul territorio.

“Le parole della nascita”

Si intitola invece “Le parole della nascita” il progetto promosso da Comune di Ferrara e Centro per le Famiglie dello stesso, in collaborazione con la nostra Caritas diocesana e il Centro Salute Donna – AUSL Ferrara. Nella sede di viale Po, 8 ogni mercoledì mattina dalle ore 10 alle 12.30, a partire dal 15 novembre, inizierà il primo ciclo di sei incontri per donne extracomunitarie in gravidanza (a prescindere che sia la prima gravidanza o meno, e che parlino o meno l’italiano). «Ogni incontro – ci spiega ancora Belmonte – è legato ad alcune parole della lingua italiana che queste donne sentiranno durante la gravidanza e nel post parto; parole, quindi, di cui devono cogliere il significato per una maggiore consapevolezza della loro situazione e delle conseguenti scelte da compiere».

Come nel caso di “Crescere insieme”, si è deciso di dar vita a questo progetto perché a livello comunale pur esistendo già servizi per future mamme e neo mamme, per scelta o ignoranza non vengono frequentati dalle donne straniere. Al fondo, prosegue Belmonte, «vi è l’idea di un’integrazione graduale di queste donne» nel nostro tessuto sociale: “Le parole della nascita” non intende, però, sostituirsi ai servizi pubblici già esistenti ma si presenta come un passaggio propedeutico necessario per poter poi accedere agli stessi.

Tutti gli incontri saranno guidati da Irina Cristina Damian, psicologa del Centro per le Famiglie e, oltre a lei, nei diversi appuntamenti si alterneranno altre figure: un’ostetrica, un’assistente sociale, educatrici e psicologi.

 

50 anni della Caritas diocesana

Il 19 novembre S. Messa con l’Arcivescovo in San Francesco

Domenica 19 novembre, in occasione della Giornata Mondiale dei Poveri, S.E. Mons. Gian Carlo Perego celebrerà una S. Messa alle ore 18 in San Francesco per ricordare tutti i volontari, gli operatori, i sacerdoti e i laici grazie ai quali la Caritas ha operato per 50 anni in diocesi.

Caritas Italiana era nata nel 1971 per volontà di Paolo VI, e per volontà di Mons. Natale Mosconi, vede la luce il 4 novembre 1973 la Caritas diocesana di Ferrara cui fa seguito quella di Comacchio il 6 novembre dello stesso anno, entrambe con un proprio statuto pubblicato sul Bollettino Ecclesiastico 9-12 (1973) e tra le prime in Italia.

Cinquant’anni di carità nello spirito del Concilio Vaticano II, che aveva fatto della figura del Buon Samaritano, l’immagine della spiritualità del Concilio stesso.

La celebrazione del mezzo secolo di Caritas diocesana diventa quindi motivo di una riflessione sulla scelta preferenziale per i poveri, sullo stile della carità cristiana e sull’utilizzo di questo strumento che, oltre che a livello diocesano, l’Arcivescovo auspica diventi “una delle strutture portanti dell’Unità Pastorale”.

“I poveri li avrete sempre con voi”, prosegue Mons. Perego in una lettera indirizzata ai sacerdoti. “Questa presenza chiede una prossimità rinnovata nelle diverse stagioni della vita della Chiesa: una ‘conversione al prossimo’ – come la chiamava Mons. Natale Mosconi – a cui nessun cristiano e nessuna comunità può sottrarsi”.

Giorgio Forini e il servizio come relazione personale

Lo scorso 1° novembre ci ha lasciato Giorgio Forini, 67 anni, storico volontario della nostra Caritas diocesana. Pubblichiamo i ricordi di chi l’ha conosciuto e con lui ha collaborato

Grande il dolore per la scomparsa di Giorgio Forini, storico volontario della nostra Caritas diocesana, deceduto a 67 anni all’alba del 1° novembre, Festa di Ognissanti, dopo un periodo di ricovero all’Ospedale di Cona. I funerali sono fissati per martedì 7 novembre alle ore 14 nella chiesa di Santa Maria in Vado.

Dopo una vita come impiegato in Carife, Forini aveva dedicato anima e corpo al servizio per gli ultimi della nostra città. Instancabile parrocchiano di Santa Maria in Vado, impegnato in Caritas, in particolare nella nostra mensa di via Brasavola, è stato anche volontario e vicepresidente dell’Associazione Viale K, promotore dell’iniziativa “Galeorto” nel carcere di via Arginone, collaboratore della comunità d’accoglienza “La Ginestra” di Cocomaro di Focomorto. Era stato, inoltre, membro del Commissione Affari Economici dell’Unità Pastorale Borgovado, membro della Commissione diocesana per la famiglia e Valutatore Sociale nel GIT (Gruppo di Iniziativa Territoriale) ferrarese di Banca Etica. Fratello di don Francesco (parroco di Mizzana, Assistente dell’Azione Cattolica diocesana, morto nel 2014 a 67 anni in un incidente stradale) e di Bernardetta, lascia la moglie Maria Teresa “Besa” Lucci, i figli Giacomo, Michele, Cecilia, Laura e sei nipoti.

La tristezza per la sua scomparsa non è, però, più forte della grande riconoscenza dei tanti amici e conoscenti di cui è stato compagno di vita fino all’ultimo.

Di seguito pubblichiamo alcuni ricordi di operatori e volontari della Caritas di Ferrara.

 

«Gli operatori e le operatrici, i volontari e le volontarie della Caritas si uniscono commossi nel ricordo di Giorgio Fiorini che lo scorso 1° novembre è tornato alla casa del Padre. La sua instancabile dedizione al servizio per le persone bisognose e per la comunità è stata per noi esempio, stimolo e fonte di energia e fiducia. Con la sua scomparsa Giorgio non lascia un vuoto ma il segno pieno di una presenza operante che continuerà a produrre, nelle fede di cui è stato testimone, frutti sempre nuovi di Carità e Speranza. Questa certezza conforti i familiari che oggi ne piangono la dipartita, ai quali ci stringiamo fraternamente in un abbraccio affettuoso».

Caritas diocesana

 

«Lo incrociavo spesso a margine delle nostre “faccende” di carità. Ci incontravamo senza fare grandi discorsi ma in una dimensione operante, feriale e quotidiana: nel suo servizio per la Caritas o a volte in carcere nel suo impegno per “Galeorto” o per strada quando accompagnava i nipoti a scuola. Per me era sempre bello pensare che “circolasse” una persona così per la città, era sempre sorridente e disponibile. È stato davvero un bravo volontario Caritas, un modello: era sempre al servizio degli altri».

Michele Luciani (Operatore Caritas diocesana)

 

«Per la nostra Caritas, Giorgio in mensa era il referente sia per le colazioni della domenica sia per il gruppo di volontarie e volontari (circa 25) per il pranzo della terza domenica del mese. Il suo servizio in questi pranzi domenicali era quello del tipico “tuttofare”, era il “jolly”, spazzava o andava in magazzino o aiutava in cucina, a seconda della necessità del momento. Era la figura centrale, di riferimento, anche se in questa sua centralità non dominava mai. Giorgio coordinava tutto e conosceva anche molti degli avventori, con cui era sempre accogliente: a una persona chiedeva qualcosa, a un’altra faceva una battuta, ma senza mai banalizzare…Una confidenza, questa, maturata negli anni e che portava gli ospiti della mensa a fidarsi di lui sentendosi rispettati e, anche solo per poco tempo, a poter sdrammatizzare, dimenticando per un po’ la loro difficile situazione. Era, quindi, questo ciò che maggiormente lo contraddistingueva in mensa: il saper tenere le relazioni con le persone accolte, di cui conosceva le storie. E se a volte, come capita, nascevano situazioni spiacevoli, riusciva a calmare gli animi, a stemperare con una battuta, senza assumere la posizione di chi ha “potere”. “Com’è che Giorgio non c’è oggi??”, chiedevano gli ospiti della nostra mensa se non lo vedevano, tanto erano affezionati a lui. Giorgio non era mai retorico e non calava mai niente dall’alto: questo è il più grande insegnamento che ci lascia».

Laura Chiappini e Mario Bonati (Volontari Caritas diocesana)

Volontari in carcere: l’emporio Caritas per i più poveri

Viaggio nella Casa Circondariale di Ferrara attraverso le testimonianze delle volontarie e dei volontari che gestiscono l’emporio interno. Un’esperienza che cambia tutti

Un mondo altro, ma per certi versi non così diverso da quello esterno. Un’esperienza che cambia in profondità sia chi la vive come volontario sia come detenuto. È particolarmente toccante raccogliere le testimonianze delle volontarie e dei volontari Caritas che due volte alla settimana, ogni settimana, si alternano nell’emporio all’interno della Casa Circondariale “C. Satta” di Ferrara.

 

COME FUNZIONA L’EMPORIO IN CARCERE

Sono in tutto 124 donne e 8 uomini – i volontari Caritas che da giugno 2021 gestiscono l’emporio del carcere ogni lunedì (per le prime tre sezioni del carcere) e giovedì (dalla sezione quarta all’ottava), dalle 9.30 alle 11.30, alternandosi in gruppi di tre per ogni turno. Qui si occupano di mantenere la contabilità e la registrazione degli accessi (i dati dei detenuti che si rivolgono all’emporio, le scadenze per il ritiro dei beni), e la distribuzione del materiale.

All’emporio possono accedere – ognuno ogni due settimane – detenuti considerati “poveri” (che hanno, cioè, meno di 100 euro sul proprio conto) per ricevere abbigliamento intimo, tute, camicie (per incontri coi famigliari o con l’avvocato in tribunale), scarpe da tennis, ciabatte, shampoo, bagnoschiuma, sapone liquido, spazzolini, dentifrici, detersivo per lavare i pavimenti. Lo stesso per i cosiddetti “nuovi giunti”, cioè quelle persone da poco tempo detenute.

Il materiale dell’emporio proviene da donazioni di privati e da raccolte solidali ad hoc organizzate da parrocchie e associazioni del nostro territorio. I detenuti, utilizzando il proprio denaro, possono anche chiedere ai volontari – previa richiesta all’Amministrazione del carcere – di acquistare loro altri beni, come ad esempio un modello particolare di scarpe, o un libro.

 

UN MONDO DIVERSO (MA NON TROPPO)

«Per chi vive all’esterno del carcere, alcune dinamiche interne sfuggono, non sono facilmente comprendibili», ci spiegano alcune volontarie. «Quello detentivo è un mondo davvero altro, la percezione dei tempi e degli spazi è molto differente rispetto all’esterno». Poi arriva la possibilità di entrarvi, pur una volta alla settimana, come volontario. E lo sguardo sul “dentro” e sul “fuori” si modifica: «le prime volte che ho avuto l’opportunità di viverlo – racconta una volontaria – mi ha colpito il vedere e sentire i cancelli e le porte che, passaggio dopo passaggio, si chiudevano dietro di me», col conseguente «bisogno – dopo un po’ – di aria, di uno spazio aperto». Sensazioni, queste, «che col tempo e l’abitudine sono diminuite ma non del tutto svanite».

 

LA SPERANZA, OLTRE AL BAGNOSCHIUMA

«Prima di entrarci come volontaria – è un’altra testimonianza -, lo percepivo come un mondo a sé», le cui mura dividevano fisicamente i “buoni” dai “cattivi”. «E invece prestandovi servizio ho scoperto un mondo da valorizzare, incontrando tante persone detenute che nutrono un sincero desiderio di riscatto». Nel loro piccolo, i volontari cercano di «dare loro strumenti di riscatto, segnali per poter comprendere che la loro vita può cambiare». È quella carità fatta non solo, non tanto di beni materiali da distribuire ma di gentilezza, di affetto, di tanti piccoli atteggiamenti che fanno sentire l’altro accettato, riconosciuto non solo nel suo bisogno ma nella sua dignità. Gesti che diano loro speranza in una trasformazione personale, trovando dentro di sé risorse che non sanno di avere o hanno dimenticato.

Una volontaria Caritas ci racconta, ad esempio, come alcuni detenuti giovani dell’emporio la chiamino “mamma”: «a livello umano è qualcosa di forte, ti rendi conto che non solo dai ma ricevi anche tanto».

 

BISOGNO DI VICINANZA

Il sentirsi detenuti dentro un carcere significa molto spesso percepirsi come esclusi dalla vita, dalle relazioni. Si percepisce il mondo là fuori non solo come distante ma come ostile o indifferente. E viceversa. «Dentro abbiamo trovato tanta umanità», ci raccontano invece i volontari Caritas. «A volte qualche detenuto che si rivolge al nostro emporio, pretende da noi, ad esempio che gli diamo qualcosa che non possiamo dargli, o di riceverla più spesso, ma in generale ci rispettano molto, ci ringraziano, a volte ci raccontano anche le loro storie». In ogni caso, «non si sentono giudicati da noi».

Quella lontananza di cui dicevamo, a volte è acuita se i famigliari, i parenti e gli amici del detenuto vivono lontano (spesso fuori dall’Italia) o se hanno scelto di tagliare tutti i ponti con lui. O se una famiglia non ce l’hanno più. Ma emergono dalle testimonianze dei nostri volontari anche aneddoti commoventi, come quello di un detenuto che coi soldi che guadagnava lavorando nelle cucine del carcere, ha comprato un giocattolo per la propria figlia. Un modo, anche questo, per sentire meno il distacco, per rimanere aperti agli affetti, alla vita.

 

DONA MATERIALE PER I DETENUTI POVERI DEL CARCERE DI FERRARA

Il nostro emporio ha bisogno di essere rifornito di scarpe da ginnastica e ciabatte (numeri dal 42 in su), tute (taglie dalla L in su), asciugamani, calze, mutande, shampoo e bagnoschiuma.

Contattaci: Telefono: 388 9706494 – mail: info@caritasfe.it

Oltre 70 scatole di farmaci donate alla nostra Caritas

Oggi, 16 ottobre, AFM – Farmacie Comunali Ferrara ha donato alla nostra Caritas diocesana diversi prodotti che verranno utilizzati nella nostra sede di via Borgovado a Ferrara.

Si tratta di:

5 scatole di Ibuprofene sciroppo,
5 scatole di Froben tosse secca,
5 scatole di Fluibron sciroppo,
10 scatole di Lisomucil sciroppo,
10 scatole di Fluimucil bustine,
3 scatole di Bronchenolo,
3 scatole di Libenar,
3 scatole di Buscopan,
10 scatole di Brufen,
10 scatole di Ibuprofene bambini,
10 scatole di Tachipirina.

La nostra Caritas ringrazia sentitamente Farmacie Comunali Ferrara per questa ulteriore e importante donazione.