Caritas Ferrara per la Giornata Mondiale dei Poveri

Domenica 17 novembre si celebra l’VIII Giornata Mondiale dei Poveri, che ha come tema «La preghiera del povero sale fino a Dio» (Siracide 21,5).

In vista di questo importante appuntamento la Caritas italiana ha pubblicato il “Rapporto 2024 su povertà ed esclusione sociale in Italia” e ha sceltro di intitolarlo: “Fili d’erba nelle crepe. Risposte di Speranza”.
La povertà assoluta colpisce quasi 5,7 milioni di persone, le condizioni di vita peggiorano per molti, tra difficoltà lavorative, disagio abitativo e barriere all’accesso ai servizi essenziali. Ma non tutto è perduto. Attraverso il lavoro di volontari, centri di ascolto e strutture di accoglienza, Caritas vuole essere “un filo d’erba nelle crepe”, una rete di solidarietà e speranza che risponde alle emergenze sociali. Il direttore di Caritas, don Marco Pagniello, invita a guardare oltre i numeri per riconoscere “l’umanità ferita” dietro ogni storia. “Organizzare la speranza” significa andare oltre la carità, costruendo nuove opportunità per un futuro più giusto e inclusivo.

Puoi approfondire come le Caritas parrocchiali di Ferrara lavorano per combattere la povertà in Italia e aiutare le comunità più vulnerabili leggendo qui: https://www.caritasfe.it/le-caritas-parrocchiali-di-ferrara-al-servizio-degli-altri/

I pacchi di alimenti che vengono distribuiti dalle Caritas parrocchiali arrivano dalla Fondazione Banco Alimentare, che come ogni anno anche nel 2024 organizza e coordina la #GiornataNazionaledellaCollettaAlimentare, in programma sabato 16 novembre. L’iniziativa prevede la presenza di volontari nei Punti Vendita aderenti della Grande Distribuzione Organizzata. I volontari inviteranno chi va a fare la spesa a donarne una parte per le persone in difficoltà. Per partecipare e contribuire a rendere più ricco il pacco alimenti per i più bisognosi basta recarsi in uno degli 11.600 supermercati d’Italia aderenti all’iniziativa: https://www.bancoalimentare.it/colletta-alimentare

Ricordi al gusto alchechengi

La rivista online Interno Verde Mag, ha dedicato un articolo alla bellissima esperienza del progetto “Pagine Parlanti” che Casa Betania, la struttura di accoglienza per donne e bambini rifiguati di Caritas Ferrara, ha ospitato lo scorso settembre, in occasione del Festival Interno Verde Ferrara.

Nel racconto di quelle gionate, scoprirete le storie delle nostre ospiti, che hanno ritrovato le loro tradizioni gastronomiche attraverso le piante e le hanno condivise con i visitatori.

L’articolo è disponibile a questo link: Ricordi al gusto alchechengi. Parole di Tania Droghetti, illustrazione di Anna Di Perna, immagini di Tania Droghetti e Giulia Nascimbeni.
Qui ve ne proponiamo un estratto.

Olena viene dall’Ucraina del sud e vive in Italia da due anni e mezzo, per “Pagine Parlanti” ha raccontato dell’importanza di un rito particolare, condiviso da molte famiglie ucraine.

«Ogni anno in primavera si va sui monti Carpazi per raccogliere piante e fiori che crescono in quella zona, come l’erba di San Giovanni, le fragoline di bosco, i frutti di sorbo, il biancospino, la menta, l’origano. Poi fiori e frutti vengono essiccati e utilizzati per preparare delle tisane, che si bevono soprattutto d’inverno quando hai il raffreddore, la tosse o la febbre. Questa è una tradizione che mi manca, alcune di queste piante non le ho più viste perché sono tipiche delle zone di montagna ma in compenso qui, in particolare nel giardino di Casa Betania, ne ho scoperte di nuove, come l’alchechengi, che mi ha colpito subito per i suoi fiori arancioni a forma di lanterna e perché le bacche si possono mangiare. Anche piante che già conoscevo qui hanno un odore e un sapore diverso, la menta per esempio o la senape. Durante Interno Verde ho incontrato tante persone, alcune molto più preparate di noi sulle piante del giardino, al punto da spiegarci loro che piante fossero!».

Le Caritas parrocchiali di Ferrara: al servizio degli altri

Le Caritas parrocchiali: mettersi a servizio degli altri come forma più alta di carità

Il prossimo 17 novembre si celebra l’VIII Giornata Mondiale dei Poveri, che ha come tema «La preghiera del povero sale fino a Dio» (cfr. Siracide 21,5).

In vista dell’inizio del Giubileo Ordinario del 2025 questo appuntamento rappresenta per tutte le Caritas un’occasione per organizzare momenti di incontro e di amicizia, di solidarietà e di aiuto concreto.Tutto quello che le Caritas parrocchiali, singolarmente, già fanno durante l’anno ma che in questa giornata potranno condividere insieme.
La Caritas ha infatti diversi livelli e i gruppi parrocchiali svolgono un’importante funzione sociale, di supporto immediato a chi si presenta in difficoltà alla porta della parrocchia.

E come si affronta questo incontro? Come lo vivono i volontari di Caritas?

Oggi raccontiamo due esperienze: quella del Centro di ascolto Caritas dell’Unità Pastorale di Borgovado, che unisce quattro parrocchie, e quella della Caritas San Vincenzo di Pontelagoscuro.

Don Andrea Zerbini è il responsabile del Centro di ascolto: “Ogni martedì, a Santa Maria in Vado, incontriamo le persone più in difficoltà per raccogliere i loro bisogni, le loro necessità e ogni mercoledì, dalle Suore della Carità in piazza Ariostea, facciamo il punto sulle situazioni, su come aiutare e accompagnare queste persone”.
L’Unità Pastorale Borgovado assiste tra le 40 e le 50 famiglie e ogni terzo sabato del mese distribuisce, nella parrocchia di Santa Francesca Romana, il pacco alimenti che arriva dal Banco Alimentare, ma che spesso viene integrato con prodotti acquistati grazie ai fondi della parrocchia e alle donazioni.
Queste famiglie vengono seguite, se necessario, anche per i documenti e la scuola nel caso ci siano bambini.
“Stefano Ferrari – sottolinea don Andrea – ha creato anche un’associazione, Mai da soli, per gli uomini che si trovano in difficoltà dopo il divorzio o la separazione. Hanno un lavoro ma non abbastanza denaro per pagare tutto, affitto compreso, grazie a questa associazione hanno un posto dove stare.”
Il Centro di ascolto sta cercando di coordinare le altre realtà caritative della città, ma, come spiega don Andrea, “è faticoso, molte sono parrocchie piccole, con persone anziane, trovare volontari che si impegnino non è facile. Due volte all’anno ci incontriamo con le altre Caritas per fare il punto, per capire come si gestiscono, raccogliere idee, dare consigli, cercare una linea di azione comune.
Da 6 anni è emerso che nonostante ci sia nell’amministrazione pubblica, anche a livello sanitario, attenzione ai senzatetto, agli stranieri, ai poveri e ai bisognosi, questa maglia non arriva dappertutto e le persone a un certo punto si rivolgono alle parrocchie, che cercano di supportare chi non trova nessun tipo di assistenza. Ultimamente a Santa Francesca Romana abbiamo accolto 5 senzatetto”.
I problemi che si incontrano nel cercare di assistere queste persone sono tanti: le parrocchie non hanno sufficienti spazi, volontari, competenze per gestire tutte le questioni burocratiche e organizzative, non si riesce a trovare case in affitto, ma nonostante queste difficoltà non ci si arrende: “Ci motivano coloro che abbiamo davanti, perché sono uguali a noi – ricorda don Andrea – bisogna farlo per l’umanità delle persone che si incontrano, che spesso non hanno più voglia neanche di vivere e non c’è più distinzione ormai tra italiani, stranieri, giovani e meno giovani, hanno problemi economici, di dipendenza, a volte psichici e la parrocchia diventa il loro unico punto di riferimento. Noi dobbiamo trovare il modo di instaurare con loro una relazione”. E proprio per cercare di creare sempre di più una vera e propria rete di supporto l’Unità pastorale fa anche il doposcuola e una serie di incontri per insegnare il taglio e cucito, piccole cose che però possono contribuire a unire e far sentire tutti parte di una comunità più ampia e solidale.

Ed è davvero ampia la platea di persone assistite dalla Caritas San Vincenzo di Pontelagoscuro: 260 famiglie nel 2023 a cui sono stati distribuiti pasti e vestiario.
Il responsabile della gestione e distribuzione degli alimenti è Dante Andreolini, detto Lucio, quella del vestiario invece è Rita Paganelli.
Gli altri volontari della distribuzione pasti della Caritas San Vincenzo di Pontelagoscuro sono Marina Zabolotnik, Marco Gulmini, Anna Padovani, Tiziano Pilastrini, Mario Franchini, Mirela Palai, Luigi Berardo, Dario Bucchi.
“Consegniamo il cibo ogni giovedì mattina dalle 8,30 alle 11 nel salone parrocchiale di Pontelagoscuro ma noi volontari siamo impegnati anche nei tre giorni precedenti – racconta Lucio – l’Ipercoop Le Mura per esempio ci permette, il mercoledì, di andare a ritirare “i brutti ma buoni”, prodotti scartati solo perchè ammaccati e in questo periodo dell’anno ci mettono a disposizione anche la cancelleria per la scuola. Siamo sempre interlacciati con le altre Caritas per lo scambio dei prodotti, per poter variare l’offerta e rispondere alle necessità di tutti. Ci aiutano la Colletta Alimentare (che quest’anno sarà sabato 16 novembre, ndr), altre collette specifiche organizzate dalla Coop del Doro e la ditta Eurovo che ci dà le uova. Se non avessimo questi contatti e questi aiuti non ce la faremmo perché il Banco Alimentare, che ci fornisce il cibo, non ce ne dà abbastanza per i nostri numeri”.
La distribuzione degli alimenti in realtà diventa anche momento di confronto e di scambio: mentre le famiglie aspettano il proprio turno dialogano tra di loro e con i volontari, espongono problemi, necessità e anche suggerimenti: “Abbiamo trovato una soluzione a ferro di cavallo per dare il cibo – spiega Lucio – noi non prepariamo le confezioni, le persone girano e ad ogni postazione viene consegnato un prodotto. Mentre prendono quello di cui hanno bisogno raccontano anche le loro storie”.
Ma tutti possono presentarsi per avere il cibo? Tecnicamente no, ogni famiglia ha una tessera con indicato un numero di riconoscimento e il numero di persone che compongono il nucleo famigliare, chi vive da solo non riceverà gli stessi quantitativi di chi invece ha magari più figli a carico. E la Caritas di Pontelagoscuro consegna solo ai residenti di Ponte, Barco e Francolino. La tessera si ottiene presentando ai volontari stessi l’Isee e il certificato di residenza, se il modello Isee è sopra gli 8mila euro la tessera non viene rilasciata. Questo sulla carta, nella realtà non si manda via nessuno, prima si distribuisce il cibo a chi ha la tessera e vive in zona, poi a chi la tessera non ce l’ha o abita lontano o non ha un posto dove abitare.
I volontari cercano anche sempre di bilanciare la spesa: chi magari non prende il salume, per motivi religiosi, può prendere per esempio più farina o pasta.
E’ un impegno gravoso quello dei volontari, che sono circa una decina per la raccolta e la distribuzione degli alimenti e 7/8 per il vestiario, “ma non bastiamo mai – sottolinea sempre Lucio – a volte ci ammaliamo o abbiamo altri impegni, di nuove leve c’è sempre bisogno”.
E come convincerle a donare il loro tempo? Per quale motivo ne vale la pena?
“La soddisfazione c’è quando chi assisti sente che parli la sua lingua e si apre di più perché si fida – racconta Marina Zabolotnik, una volontaria russa che conosce anche l’inglese e che spesso fa da interprete – è bello quando poi, fuori dalla parrocchia, ti riconoscono per strada, ti salutano e ti ringraziano per quello che fai”.
“La soddisfazione c’è quando ti offrono il caffè al bar – aggiunge Tiziano Pilastrini – si vede che qualcosa di buono facciamo, c’è spirito di collaborazione e reciproca stima anche se qualcuno brontola, ma quelli insoddisfatti ci sono sempre”.
“La soddisfazione c’è nel sorriso dei bambini – dicono insieme Marco Gulmini, che indossa un naso rosso e si trasforma in clown per i più piccoli e Anna Padovani, che porta sempre qualche giocattolo – ci piace stare con loro, lo facciamo volentieri perché fa bene anche a noi, alla fine siamo diventati tutti una famiglia. C’è una signora che ci porta sempre il tè e i dolci fatti da lei, altri ci portano il pane, è il loro modo di ringraziarci”.

Il vero valore delle Caritas parrocchiali si ritrova proprio in questo: qualcuno che si mette nei tuoi panni, questa è la carità, a volte le persone non vengono riconosciute, “viste”, restano indifferenti agli occhi della gente, trovare qualcuno che ti dà un pacco di alimenti e scambia quattro chiacchiere, si mette un naso da clown, parla la tua lingua, si interessa alla tua storia, è un dono che tutti possiamo fare.

L’organizzazione è sicuramente complicata e tanto si può e si deve ancora fare per migliorare, ma non è tutto, uno dei compiti delle Caritas è sollecitare e garantire le relazioni di vicinanza, lo stare insieme, il vivere tutti dentro la comunità, la vicinanza può attivare risorse, può aiutare a trovare case in affitto, lavori, aiuti e sostegno. Creare e dare un valore alla prossimità è da sempre uno degli obiettivi di Caritas.

Si possono avere maggiori informazioni sul volontariato rivolgendosi direttamente alla propria parrocchia.

Casa Betania di Caritas: un luogo sicuro per donne e bambini richiedenti asilo

Nel giardino di Casa Betania, che di recente è stato anche uno dei protagonisti di Interno Verde, si incrociano davvero tante storie, tutte con un denominatore comune: l’accoglienza.

Casa Betania oggi fa parte del progetto di accoglienza di Caritas per donne, bambini e nuclei richiedenti asilo e per profughi. E’ il centro più grande della provincia con 33 posti a disposizione.

Il progetto prevede vitto, alloggio e vari servizi come mediazione, assistenza legale, accompagnamenti a livello amministrativo e sanitario, ci sono incontri con psicologi e assistenti sociali. Si cerca in ogni modo di facilitare l’inserimento nella quotidianità  delle persone accolte.

“Attualmente qui vivono ragazze provenienti dalla Somalia, dalla Costa d’Avorio, dal Camerun e dalla  Guinea – racconta Maria Teresa Stampi, operatrice di Caritas – quando arrivano sono spesso incinta e spaventate, è fondamentale guadagnare la loro fiducia”.
La convivenza con le altre all’inizio è difficile, provengono da culture, lingue e abitudini diverse. Ma piano piano si impara a conoscersi.

La struttura è divisa in tre sezioni: al primo piano ci sono dei monolocali che possono ospitare dalle quattro alle sei persone ciascuno. C’è poi una seconda zona dove si trovano stanze singole con uno o al massimo due persone. Al secondo piano vivono mamme con bimbi piccoli o donne da sole, qui vengono sistemate le situazioni più fragili.

Al piano terra c’è l’aula per la scuola d’italiano, imparare la lingua è infatti il primo obiettivo per queste ragazze. Capire e farsi capire è indispensabile per costruirsi un futuro qui.

Il percorso che devono intraprendere per ottenere lo stato di richiedente asilo è lungo e complesso: “Inizia con la presa in carico in Questura che serve per ufficializzare la richiesta – spiega Maria Teresa – da quel momento entrano nel sistema e dovranno essere chiamati da una Commissione territoriale che ascolterà la loro storia e controllerà tutta la documentazione che potranno portare, per decidere se hanno diritto all’asilo politico o ad altre forme di protezione. L’asilo è molto difficile da ottenere, ma se la Commissione lo nega si può fare ricorso a un giudice specializzato nel paese di origine, il problema è che questa procedura può durare anni, noi qui ospitiamo una ragazza che aspetta dal 2016. Ci sono ragazze che hanno avuto bambini che ormai vanno alle elementari”.

In attesa del colloquio con la Commissione dopo la presa in carico in Questura viene rilasciato il permesso di soggiorno che deve essere rinnovato ogni 6 mesi, ma per rinnovarlo spesso ne occorrono altrettanti e così queste ragazze possono restare senza documenti, questo crea problemi a livello sanitario e anche lavorativo, perchè i datori di lavoro non possono fare/rinnovare un contratto se il permesso di soggiorno è scaduto.

“Per le nostre ospiti lavorare è importantissimo, cercano ovunque, dalla campagna alle pulizie, alcune riescono anche a studiare per diventare Operatrici Socio Sanitarie, cuoche e qualcuna arriva anche all’università” sottolinea Maria Teresa con una punta di orgoglio.

Per legge per poter continuare a restare all’interno del progetto di accoglienza non possono avere uno stipendio che superi l’ammontare dell’assegno sociale. Per acquistare il cibo e altri prodotti di igiene possono usufruire di buoni quindi la maggior parte di quello che guadagnano lo mandano alle famiglie, spesso ai figli che hanno dovuto lasciare a casa.

Oppure lo mettono da parte perché poi una volta usciti dal progetto dovranno cercarsi una casa in affitto. E non sarà facile, Maria Teresa racconta di una coppia con due contratti di lavoro, uno a tempo indeterminato, che non è riuscita a trovare un appartamento in affitto, “per loro è stato più facile ottenere, attraverso Banca Etica, un mutuo per potersela comprare una casa”.

Si esce dal progetto se si ottiene l’asilo politico ovviamente. Se viene negato una prima volta si può fare ricorso e se anche in quel caso non si ottiene nulla, nessuna altra forma di protezione, si è costretti ad uscire ma senza nulla in mano, si finisce in un “limbo nero” come lo definisce Maria Teresa. E allora Caritas si prende cura di queste persone, le accoglie, in altri modi, come la mensa.

Mentre aspettano il colloquio con la Commissione e quello che ne segue, le vite di queste persone provano ad andare avanti: alcuni bambini riescono ad entrare all’asilo, le mamme si confrontano con altre mamme, si creano contatti.

Gli operatori e i mediatori cercano di educarle alla nostra amministrazione, renderle autonome nella richiesta di documenti, nelle visite mediche, nei colloqui di lavoro. Certo la decisione della Commissione le tiene sospese, vivono nella paura di essere rimandate a casa.

Quello degli operatori come Maria Teresa “è un lavoro complicato, impegnativo, che ti porti a casa, ma non lo cambierei, le difficoltà ti insegnano a crescere e a metterti in discussione, a essere creativa, a inventarti soluzioni. E da queste persone impari sempre anche tu: ricordo una ragazza analfabeta che, dopo aver iniziato la scuola di italiano, mi ha chiesto di accompagnarla in una biblioteca per bambini perché voleva cominciare a leggere e poi è passata alla biblioteca Ariostea, oggi ha ottenuto l’asilo politico e ha trovato un lavoro. Un’altra ragazza che ci sembrava avesse poche risorse in realtà aveva un disagio sanitario, tolto quello aveva tutte le risorse per affrontare la vita. Questo mi ha insegnato che  dobbiamo approfondire il tipo di ascolto. Io, che di solito devo avere tutto sotto controllo, ho capito che   devo lasciare andare, vivere giorno per giorno e lasciarmi stupire da loro”.

Concorda anche Miriam, 23 anni, studente di chimica che arriva dalla provincia di Foggia e che a Casa Betania fa la volontaria: “Cercavo un lavoro, mi è arrivata un’email da Unife per fare l’anno di volontariato sociale e ho accettato, ho finito a giugno e adesso continuo a venire compatibilmente con gli studi. All’inizio ero spaesata, avevo già fatto volontariato ma era stata un’esperienza totalmente diversa, non mi aspettavo di lavorare all’ufficio accoglienza, con donne e bambini di diverse nazionalità, ho conosciuto nuove culture, nuove lingue, nuovi cibi. Mi sono scontrata con la realtà, ho scoperto come funziona una richiesta di asilo politico. L’anno scorso ho incartato 50 pacchi regalo per Natale e il regalo più grande me lo hanno fatto, con i loro sorrisi, i bambini che li hanno ricevuti. Ho anche tenuto un mini corso di computer alle ragazze e alla fine ho rilasciato un attestato, una bella soddisfazione anche quella. Oggi mi occupo più di dare una mano con la sistemazione dei documenti in amministrazione. Gli operatori sono tutti amichevoli, mi fa piacere alleggerire il loro lavoro, si è creato un legame che non voglio spezzare. E’ stata ed è un’esperienza non comune, che ti cresce e ti fa vivere meglio la vita perché torni a casa e pensi oggi ho fatto qualcosa per gli altri, ho usato il mio tempo libero per gli altri”.

Tra questi altri c’è anche Naima. Ha 41 anni ed è arrivata a Casa Betania circa un anno fa. Anche se il suo viaggio dalla Somalia è iniziato quattro anni fa. E’ figlia di una ragazza madre che quando aveva un anno e mezzo l’ ha lasciata con la nonna e gli zii. E’ cresciuta con loro, che erano molto poveri, non ha mai conosciuto il padre ed in Somalia crescere senza un padre è veramente difficile, crea molti problemi.

“Mi sono sposata e ho avuto una figlia ma quando lei aveva un anno la famiglia di mio marito non mi ha più voluta proprio perché non avevo un padre, me ne sono dovuta andare ma mia figlia mi mancava troppo e così sono tornata”. Naima resta incinta di nuovo, i suoceri la cacciano un’altra volta e poi le  dicono che la bimba è morta, ma lei non ne è convinta. Partorisce una seconda bambina che è rimasta a vivere con gli zii in Somalia.

“Volevo scappare da quella situazione, ho seguito una lontana conoscente e sono partita con i trafficanti, sapevamo che se questi avessero chiesto un riscatto per liberarci nessuno avrebbe pagato ma eravamo pronte anche a morire pur di allontanarci da lì. Abbiamo viaggiato con un gruppo per due mesi, attraversando l’Etiopia, il Sudan e siamo arrivati in Libia. I trafficanti ci hanno venduti ad altri trafficanti, siamo saliti su un pullman, su varie jeep, abbiamo fatto dei tratti a piedi. Io a un certo punto  mi sono buttata giù da una jeep, ero sfinita dalla fame, dalla sete, dalle violenze, altri trafficanti mi hanno trovata e portata in un campo in Libia e lì sono rimasta per quasi tre anni”.

Il racconto di quel periodo è un susseguirsi di violenze varie, Naima viene anche colpita alla testa con un tubo di ferro, e porta i segni nel corpo e nella mente di quegli anni. “Ero distrutta, volevo morire, facevo fatica a camminare, a un certo punto alcune persone hanno pagato per uscire e i trafficanti mi hanno fatto andare con loro perché ormai avevano capito che la mia famiglia per me non avrebbe pagato, ero diventata inutile”. Arriva a Tripoli, qui un’organizzazione la cura e poi, con altri trafficanti, prende una barca e arriva in Sicilia, poi a Bologna e infine a Ferrara tramite conoscenti.

In Caritas si presenta confusa, spaventata, con un gran dolore a un orecchio: “Sentivo rumori strani, non stavo in piedi, credevo di essere pazza e invece era un’infezione che aveva già colpito l’udito e l’equilibrio e stava arrivando anche al cervello”. Per fortuna i medici intervengono in tempo, Naima ha subito un’operazione pochi mesi fa e ora sta meglio. “Qui ho ricevuto accoglienza, amore, rispetto, ho ricominciato a vivere, a credere nella vita. Ora riesco a dormire, a mangiare. Prima per colpa del dolore all’orecchio mi isolavo, ora non mi isolo più”.

Naima va a scuola di italiano, ha iniziato a frequentare il CPIA, Centro Provinciale per l’Istruzione degli Adulti, in Somalia non aveva potuto andare a scuola, ma qui vuole imparare la lingua e fare corsi per potersi cercare un lavoro e costruire un futuro. Al momento ha ricevuto la convocazione dalla Commissione per ottenere lo stato di richiedente asilo. “Non voglio tornare in Somalia, l’unico motivo per farlo sarebbe avere la possibilità di riprendermi le mie figlie (parla ancora al plurale). Ringrazio tutti quelli di Caritas, in particolare Rabbiia* che è il mio braccio destro. Sono arrivata morta e ora sono viva grazie a loro”.

*Rabbiia è la mediatrice culturale e traduttrice di origine somala che ci ha permesso di realizzare l’intervista a Naima (abbiamo raccontato la sua storia qui)

Caritas invita a donare per l’alluvione in Emilia – Romagna

Dopo la grande paura per la nuova alluvione che ha colpito l’Emilia – Romagna, ora è il momento di stare vicino ai nostri corregionali, contribuendo ad affrontare i danni causati dalle esondazioni. La Caritas regionale ha messo a disposizione un IBAN al quale è possibile fare donazioni. Il riferimento è nella grafica di seguito.

 

La Caritas di Faenza richiede i seguenti generi:

– materiali per la pulizia (igienizzante, canddeggina, ecc.)
– materiali per l’igiene personale
– NON si raccolgono indumenti
– chi volesse raccogliere e portare materiali o proporsi come volontario, può contattatre la Caritas di Faenza ai recapiti nella grafica di seguito.

 

Da fonte Ansa del 20/09/2024.

L’Emilia-Romagna conta i danni dell’alluvione, nessun disperso

Le persone evacuate sono 2.500, al lavoro per la normalità

Danni ancora da quantificare, ma che con ogni probabilità supereranno il miliardo di euro, tutte le energie concentrare per le operazioni essenziali di ripristino degli argini colpiti e per un ritorno alla normalità il prima possibile, e una buona notizia: non c’è alcun disperso.

Il giorno dopo l’incubo che a distanza di poco più di un anno torna in Emilia-Romagna, l’alluvione che ha colpito in particolare alcune aree del Ravennate e del Bolognese, si cominciano a fare i conti: al momento ci sono complessivamente 2.500 persone evacuate in via precauzionale, centinaia e centinaia di case invase dal fango, campagne allagate con gli agricoltori in ginocchio, linee dei treni locali ancora parzialmente sospese, viabilità critica in alcune zone per via di frane e smottamenti ancora in evoluzione.

L’allerta rossa è passata e da domani sarà arancione, non per il maltempo ma per le possibili conseguenze sul territorio di quanto avvenuto.
La Regione ha già chiesto lo stato d’emergenza, come ha fatto il presidente delle Marche Francesco Acquaroli. Anche in questa regione la situazione è andata migliorando nel corso della giornata.

“Già oggi invieremo una prima comunicazione al Ministro Musumeci e alla Protezione Civile” dice Acquaroli ringraziando i soccorritori che “hanno lavorato senza sosta giorno e notte e stanno continuando a farlo per riportare la situazione alla normalità”. La buona notizia arriva in giornata dalla Prefettura di Ravenna, è la smentita dell’iniziale segnalazione di due persone disperse dopo la piena che ha travolto argini e case a Traversara, frazione di Bagnacavallo.

Un tecnico del consorzio di bonifica, sul posto, aveva creduto di vedere una persona spazzata via dall’acqua e un’altra in una casa poi crollatagli davanti agli occhi. Segnalazione, ricostruisce il prefetto ravennate Castrese De Rosa, che era opportuno verificare e accertare. Ieri la notizia era stata rilanciata dal viceministro Galeazzo Bignami, appresa dal capo della Protezione civile, mentre oggi le verifiche e i riscontri hanno dato tutte esito negativo.

Le conseguenze di uno scarico di pioggia definito straordinario dai tecnici – 350 millimetri caduti in 48 ore, quando per un raffronto nel maggio 2023 furono 400-450 i millimetri in due alluvioni – sono devastanti, soprattutto su una popolazione che si stava appena riprendendo dalla distruzione di un anno e mezzo fa. Ora però finita la fase dei soccorsi, tecnici e imprese sono già al lavoro per ripristinare gli argini: non si registrano più fuoriuscite d’acqua su Senio e Lamone. Oltre mille gli interventi solo dei vigili del fuoco, con le situazioni più critiche a Lugo, dove è stato evacuato anche l’ospedale, e Bagnacavallo. “Un terzo del Comune è sott’acqua – dice il sindaco di quest’ultimo comune – anche se si tratta quasi tutto di campagna”.

Altro punto critico l’Idice nel bolognese. Circa 1.300 in tutto le interruzioni di energia elettrica, in corso di ripristino. “Siamo già all’opera per tornare alla normalità – ha assicurato Irene Priolo, presidente facente funzioni – La rottura del Senio ha causato l’allagamento a Lugo interessando, con diverse intensità, alcune parti della cittadina. Stiamo già organizzando il massimo supporto con un’ottantina di volontari della Protezione civile della Colonna Toscana e i nostri tecnici dell’Agenzia regionale. Ieri sera ho firmato l’ordinanza per la gestione dei rifiuti, solidi e liquidi: più agiamo rapidamente nello smaltimento, meno saranno i problemi, soprattutto per le famiglie e i cittadini”.

Il dono dell’Ordine Costantiniano all’ambulatorio di Caritas Ferrara

Con grande piacere pubblichiamo il comunicato dell’Ordine Costantiniano Ferrara grazie alla cui generosìtà, l’ambulatorio di Caritas Ferrara ha potuto dotarsi di un novo prezioso macchinario, che abbiamo ricevuto in dono martedì 10 settembre 2024. Tutta la nostra stime e riconoscenza alle persone coinvolte, per il loro impegno e prezioso supporto. 

Con la ripresa delle attività di beneficenza e caritative della Rappresentanza dopo la pausa estiva, il Volontario Walter Chessa e il Cav. Davide Zamboni, coordinandosi con il Rappresentante Cav. di Gr. Eccl. Don Davide Benini, hanno consegnato un apparecchio elettromedicale all’ambulatorio medico della Caritas Diocesana di Ferrara.

Nel particolare, addivenendo alla disponibilità offerta dall’impresa produttrice e fornitrice Project Blue Generation di Cento (FE) e dei benefattori Bosi Michele e Taddia Patrizia, è stato consegnato ai medici uno strumento laser per fisioterapia, selezionato dagli stessi medici Caritas tra quelli resi disponibili dall’azienda.

Alla consegna erano presentI la Dott.ssa Belmonte Marika Assistente Sociale della Caritas e il Direttore Sanitario Dott. Giancarlo Rasconi, oltre che il Sig. Bosi Michele, titolare dell’impresa produttrice, che ha illustrato il funzionamento della macchina. Ringraziamo sentitamente tutte le persone che a vario titolo si sono adoperate per la riuscita dell’attività di quest’oggi, tra cui il Direttore della Caritas Diocesana Paolo Falaguasta, rendendo possibile al nostro Ordine questo gesto di aiuto concreto per prestazioni sanitarie offerte dalla Caritas Diocesana ai bisognosi.

Caritas per Interno Verde con i racconti sulla natura delle ospiti di Casa Betania

Da “scaldatoio dei fanciulli” a luogo di accoglienza per donne e bambini in difficoltà: la storia di Casa Betania è da sempre legata ai più piccoli.

E nel weekend del 14 e 15 settembre, rientrando nel programma del Festival Interno Verde, aprirà le porte del suo giardino e del suo chiostro, in via Borgovado 7, per raccontare questa storia e non solo.

La struttura fu costruita nel 1477 per volere di Ercole I d’Este, per ampliare il vicino convento affidato ai Canonici Regolari di Sant’Agostino. Assunse una funzione pubblica dal 1848, quando venne staccata dal resto del complesso per essere affidata al Pio Istituto degli Asili d’Infanzia, che vi allestì un ricovero per i bambini abbandonati, definito “scaldatoio dei fanciulli”. Promotrice di questa iniziativa fu Luisa Recalchi, che coinvolse il marito Carlo Grillenzoni ordinario di ostetricia. Quando Papa Pio IX diede il permesso anche ai laici di occuparsi di infanzia si aprì il primo asilo, dove ci si iscriveva anche senza certificato di battesimo, si imparava a leggere e a contare e si tenevano gli esami medici. Durante la Seconda Guerra Mondiale le balie si davano appuntamento qui per allattare gli orfani.

La Caritas è subentrata nella gestione dal 1986, inaugurando Casa Betania: qui abitavano inizialmente le suore nigeriane, poi gli studenti stranieri meno abbienti e i volontari del servizio civile.

Dal 2014 — dopo la ristrutturazione — l’edificio è stato trasformato in centro di accoglienza per donne e bambini richiedenti asilo.

Oggi conta 33 ospiti. E saranno proprio loro le protagoniste sabato 14 (dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 19) e domenica 15 (dalle 10 alle 13), accompagneranno infatti i visitatori in un viaggio attorno al mondo grazie all’iniziativa “Pagine Parlanti”: letture, ricordi e leggende dedicati alle piante e agli alberi di paesi lontani, dalla Somalia alla Costa D’Avorio, dal Camerun alla Guinea.

Il giardino di Casa Betania  è stato mantenuto nella sua forma medievale: i due assi centrali creano una croce al cui centro si trova la quadratura del cerchio, con pozzo d’acqua, simbolo di vita. Tradizionalmente le braccia della croce simboleggiano i quattro fiumi del paradiso e ad ogni aiuola è attribuita una funzione allegorica.

Per partecipare ad Interno Verde, il festival che una volta all’anno apre eccezionalmente al pubblico i più suggestivi giardini segreti della città, è necessario iscriversi (www.internoverde.it) e ritirare presso l’infopoint il kit del festival che comprende la mappa, il programma delle attività e il braccialetto, strettamente personale, indossato il quale sarà possibile accedere ai giardini del festival, tra cui appunto quello di Casa Betania.

L’infopoint è aperto da venerdì 6 a venerdì 13 settembre, dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 19, all’associazione Ilturco, via del Turco 39, Ferrara; sabato 14 e domenica 15 settembre, dalle 9 alle 19 si sposterà invece al Parco Pareschi, corso Giovecca 148, Ferrara.

Se siete giovani e particolarmente appassionati di giardini e avete voglia di vederne di veramente unici, in certi casi davvero impensabili dietro a porte e muri anonimi, Interno Verde propone agli studenti under30 che vivono a Ferrara di partecipare attivamente al festival come volontari, nel custodire gli spazi ma anche nel fornire informazioni di carattere botanico, storico e architettonico ai visitatori.

Grazie alla collaborazione dell’Università degli Studi di Ferrara lo scorso settembre più di 150 ragazzi sono stati coinvolti nell’organizzazione. Per candidarsi è sufficiente compilare il modulo online pubblicato nella pagina staff del sito www.internoverde.it, dove si trovano tutte le informazioni utili per conoscere più nel dettaglio l’attività proposta. Per saperne di più: staff@internoverde.it / 3493863118.

Per saperne di più invece sulle ospiti di Casa Betania e sulle loro storie continuate a seguirci perchè le racconteremo il prossimo mese.

L’ambulatorio medico di Caritas: una cura per pazienti e medici volontari

Il filo conduttore che unisce tutte le esperienze dei volontari Caritas si può riassumere in una frase: si riceve molto di più di quello che si dà.

Vale anche per i volontari dell’ambulatorio medico. E’ un progetto ripartito nel 2015, dopo un primo periodo durato dal 1994 al 2001. Apre le sue porte dal lunedì al venerdì, dalle 11 alle 13 e può contare sull’esperienza di medici di base, ospedalieri, universitari ormai in pensione che hanno deciso di continuare a mettere le proprie competenze a servizio della comunità.

“Siamo una decina di medici di medicina generale che si alternano per le visite di tutti i giorni – spiega Giancarlo, il direttore sanitario – poi abbiamo anche due ginecologhe, due pediatre, una neurologa, un’oculista, un ecografista e una psicologa. L’ambulatorio è a disposizione di migranti, di persone in difficoltà, impossibilitate ad avere la tessera sanitaria e quindi ad entrare nei circuiti dell’assistenza. Alcuni hanno il tesserino STP/ENI (per Stranieri Temporaneamente Presenti o per i cittadini comunitari), che ora è possibile richiedere e ottenere in Caritas, ma nella pratica anche con questo hanno difficoltà ad accedere ai normali ambulatori di medicina generale così vengono da noi. Sono pazienti generalmente giovani, con patologie a carico dell’apparato osteoarticolare, ipertensione, infiammazioni delle vie respiratorie, infezioni”.

Gli accessi nel 2023 sono stati 2418, 1920 per l’ambulatorio di medicina generale.

“Il nostro è un ambulatorio cosiddetto solidale o del terzo settore o a bassa soglia, perchè non abbiamo barriere di accesso, non serve appuntamento – sottolinea Carlo, 73 anni, volontario anche lui dal 2015 –  ero andato in pensione l’anno prima, Giancarlo mi ha chiesto di venire e ho accettato subito volentieri. E’ un’ esperienza molto bella attraverso la quale si conosce la povertà vera, quella economica ma anche quella relazionale, le persone che vengono spesso sono emarginate, sole. Sentire parlare di queste situazioni è molto diverso dal confrontarsi con esse ogni giorno, sono tutti incontri ed esperienze che ti arricchiscono“.

Lo sa bene e da tanto tempo anche Liliana, 70 anni, ginecologa in pensione: “Nel 1995 ancora lavoravo nella struttura ospedaliera e mi ero fatta autorizzare per visitare persone che mi mandava la Caritas. Poi abbiamo ricominciato nel 2015, nel 2016 sono andata in pensione ed è partito l’ambulatorio ginecologico. Oggi siamo in due ginecologhe, incontriamo ragazze giovani e la prima motivazione per cui vengono è legata alla gravidanza, chi è già incinta o chi invece cerca metodi contraccettivi, poi vengono per patologie infettive e infiammatorie. Abbiamo anche donne più adulte che invece si rivolgono a noi per problematiche legate alla menopausa. In alcuni casi è richiesto l’intervento chirurgico, noi lavoriamo comunque in stretta collaborazione con l’ Asl e quindi indirizziamo queste pazienti verso la struttura pubblica”.

L’ambulatorio ginecologico è aperto il lunedì dalle 9 alle 11 e il giovedì dalle 15 alle 17, riceve su appuntamento ma si può venire anche senza, stessa cosa per l’ambulatorio pediatrico, aperto il lunedì e il mercoledì dalle 15 alle 17.

“Questa del volontariato è un’esperienza che tutti dovrebbero fare – racconta Liliana – perchè ti apre la mentalità come medico, ti spinge a migliorare la tua capacità di relazionarti al paziente. Chi si rivolge a noi può anche rifiutare una terapia e ho capito che devo ascoltarlo ed eventualmente accettare il suo rifiuto. Queste persone mi hanno arricchito con una serie di conoscenze che altrimenti non avrei mai avuto”. Uno dei temi che ha sicuramente colpito di più Liliana nel corso degli anni è quello delle mutilazioni genitali femminili: “Ho incontrato donne fuggite dal loro paese per salvare le figlie da quelle mutilazioni ma anche donne che pensano sia normale, che non si sentono mutilate. E’ molto importante capire come la vivono, cosa pensano le pazienti prima di raccontargli cosa pensi tu. L’ambulatorio è un allenamento alla relazione con l’altro“.

Nel 2023 sono state registrate oltre 300 visite ginecologiche, la quasi totalità a donne non italiane.

“Qui all’ambulatorio conosci persone che si avvicinano a te per una serie di ragioni non solo sanitarie – e dopo una vita da medico di base a Jolanda di Savoia lo capisce subito Gian Pietro, 82 anni il 10 settembre – hanno bisogno di parlare con qualcuno. Ci sono soggetti che hanno delle patologie che normalmente non si rivelano, come l’Aids, sono titubanti a parlarne, per paura di come la prenderai e questo indica la fragilità dei soggetti, il dolore che si portano dentro e quando si confidano con te è una soddisfazione”.

I medici volontari dell’ambulatorio possono fare ricette oppure richiedere esami, perchè la struttura è convenzionata con l’Asl. Hanno anche a disposizione farmaci di prima necessità e visitano in media 8/10 persone al giorno.

“Da quando faccio il volontario qui ho la possibilità di vedere e vivere la medicina a 360 gradi, ogni volta che vengo mi capita un caso diverso, fuori dai canoni”. Anche Angelo, 75 anni, ex medico di base, è un “ascoltatore” come Gian Pietro, “ero abituato a fare tante ore di ambulatorio e quando i pazienti capiscono che li ascolto volentieri poi tornano, si informano su quando sono io di turno, mi cercano e la cosa mi gratifica molto. Loro apprezzano le piccole cose e impari a farlo anche tu”.

Roberto, 69 anni, è l’ultimo arrivato nel team dei medici volontari, è entrato nel gruppo nella primavera del 2024: “Questa scelta ha rappresentato per me un ritorno alle origini, nel 1982 e 83 ho fatto il servizio civile come obiettore di coscienza nella Caritas. Credo in alcuni valori come il volontariato, la gratuità, il servizio. Nella logica di “fratelli tutti” di Papa Francesco, credenti e non credenti, possiamo contribuire, ognuno a suo modo, a creare un mondo migliore, anche con e per i giovani, l’ambulatorio offre tirocini per studenti di medicina che vengono settimanalmente e che la vivono come un’attività gratificante e appassionata. Inoltre abbiamo partecipato a vari convegni scientifici come relatori, portando la nostra esperienza. Non siamo isolati, viviamo e lavoriamo all’interno di diversi ambiti”.

Anche Roberto, nonostante i pochi mesi di volontariato, ha già diversi ricordi particolari: “Un giorno è arrivata una giovane somala che inizialmente aveva difficoltà a raccontare la sua storia, poi piano piano, con l’aiuto di operatori e mediatori, abbiamo scoperto che aveva avuto una gravidanza durante la prigionia in Libia e il figlio le era stato sottratto. Durante la visita sono emersi segni di sevizie, per me è stato un momento molto forte, ho toccato di persona la sofferenza e la crudeltà e ho avuto ancora di più la consapevolezza di essere nato in una parte del mondo fortunata. Io credo che il volontariato debba essere anche uno stimolo affinchè le cose cambino“.

E sempre in quest’ottica, formare e informare, nel corso degli anni sono stati organizzati seminari divulgativi sulla gravidanza, il parto, l’accudimento del neonato, sul suo sviluppo e sull’alimentazione, sulle vaccinazioni.

L’ambulatorio è stato anche centro vaccinale durante il periodo Covid: sono stati eseguiti 750 vaccini nel 2021 e 632 nel 2022, tutti a persone che altrimenti non sarebbero state raggiunte dal sistema sanitario. E questo grazie anche al grande lavoro degli operatori che seguono tutte le pratiche burocratiche e amministrative.

I medici dell’ambulatorio sono tutti d’accordo: quando fai il volontario lo fai soprattutto per te, tu ci guadagni facendo del bene agli altri.

 

Se cerchi altre informazioni sugli ambulatori le trovi qui:

L’ emporio in carcere di Caritas Ferrara

L’emporio che Caritas gestisce all’interno del carcere di Ferrara è soprattutto un modo per cercare di far sentire i detenuti meno isolati dal resto del mondo.

“Due mattine a settimana, il lunedì e il giovedì, apriamo questa stanza per distribuire generi di prima necessità ai detenuti indigenti – spiega Michele, operatore – forniamo abbigliamento, prodotti per igiene personale e alimenti di conforto. Cerchiamo di trovare piccole soluzioni a tante situazioni di povertà materiale”.

Le richieste sono molte ed è stato necessario stabilire dei criteri per l’accesso: il detenuto che ha una disponibilità sul conto corrente del carcere di meno di 100 euro può accedere all’emporio e a quello che  si trova già lì gratuitamente, chi ha più di 100 euro può comunque chiedere di acquistare a proprie spese prodotti che non sono inclusi nell’elenco “del sopravvitto”. Di cosa si tratta? Il carcere garantisce  il vitto ai detenuti che possono però comprare anche prodotti “in sopravvitto”, extra. In questo elenco non sono comprese per esempio scarpe, mutande, occhiali e allora, con il progetto dell’emporio, Caritas integra e fa gli acquisti per conto dei detenuti con una maggiore disponibilità economica.

“Avviene tutto un po’ vecchio stile – sottolinea uno dei volontari, Mauro – abbiamo una postazione informatica ma non il collegamento a internet, quindi stampiamo un catalogo cartaceo dei prodotti da cui il detenuto può scegliere una maglia, le scarpe o altro”.

Il progetto dell’emporio è nato nel 2021 e in tre anni 550 detenuti ne hanno usufruito. La media è di circa 150 all’anno.

I volontari e gli operatori Caritas incontrano anche detenuti che educatori ed educatrici segnalano per la possibilità di accedere a misure alternative, affidamento ai servizi sociali, regime di accoglienza o semi libertà oppure detenuti che possono diventare volontari o beneficiari di permessi premio sempre in Caritas. “Quando escono vengono a cercare sostegno, umano oltre che economico – sottolinea Michele – noi cerchiamo di definire per loro un percorso di partecipazione sociale coinvolgendoli nel volontariato e comunque offrendogli i servizi che Caritas mette a disposizione di tutti gli indigenti: dalla mensa all’ambulatorio al guardaroba”.

Come ci si avvicina a un’esperienza di volontariato in carcere, in un ambiente sicuramente particolare e difficile?

Ce la raccontano Mauro, Tom ed Edoardo.

“A livello burocratico è un percorso che richiede tempo, si dà la propria disponibilità e poi devono essere fatti dei controlli per poter entrare in carcere. Una volta ottenuto il nulla osta, la routine è semplice: il lunedì e il giovedì entriamo dalla guardiola, ci danno il pass, superiamo diversi livelli di sicurezza, arriviamo all’emporio e cominciamo con la verifica delle richieste. Le domande devono essere vidimate dall’ufficio conti correnti del carcere, i detenuti possono venire ogni 15 giorni, se la domanda è in regola la riportiamo in guardiola e la polizia penitenziaria poi ci porta il detenuto”.

L’emporio è aperto dalle 9 alle 11,30 e in media si presentano tra le 15 e le 20 persone, ricevono  indumenti, alimenti come cracker, biscotti, oppure prodotti per l’igiene come dentifricio o bagnoschiuma. Sono tutti generi già presenti nell’emporio, messi a disposizione da Caritas, anche grazie a fondi di privati o altre associazioni come la Ceramica Sant’Agostino o i Lions di Ferrara.

“L’emporio ci permette, oltre che di rispondere ai loro bisogni materiali, di incontrare i detenuti e valorizzare la relazione con le persone – lo sa molto bene Mauro, volontario di Caritas dal 2021, quando è iniziato questo servizio in carcere – ho 71 anni e sono in pensione, mi è arrivata l’informazione che c’era bisogno di volontari, non avevo mai partecipato a un progetto di volontariato in carcere, le cose nuove mi piacciono e così ho provato. Dopo tre anni continuo con lo stesso entusiasmo, l’aspetto bello è dato dalla possibilità di aiutare queste persone, che ti fanno anche arrabbiare a volte, ma sento che hanno il bisogno di avere questa opportunità di parlare con qualcuno esterno, di un incontro umano”.

Tom e la moglie sono arrivati dalla Scozia nel 2017, dopo essere andati in pensione. Lei è stata la prima a diventare volontaria in Caritas e poi piano piano ha convinto anche Tom.

“In Scozia non c’è questa tradizione così forte del volontariato. Io l’ho trovata molto interessante perché si aiuta gente che non ha abbastanza denaro, persone che hanno famiglie lontane o povere, non in grado di mandare fondi al detenuto. La maggior parte di loro sono educati, apprezzano quello che facciamo, ci ringraziano, poi ci sono anche quelli più difficili da gestire o con cui è complicato interagire: detenuti che non parlano in italiano e allora quando scoprono che parlo anche inglese si aprono di più. Alcuni sono esigenti, va detto, magari vogliono scarpe di un certo tipo e noi non le abbiamo e non possiamo procurargliele, a meno che non abbiano sopra i 100 euro sul conto, a quel punto gliele possiamo recuperare e provare ad accontentarli”.

Anche Edoardo, 60 anni, è diventato volontario Caritas dopo la pensione: “Volevo mettere a disposizione il mio tempo libero, ho cercato su internet e ho trovato Caritas, ho scelto il carcere perché mi sembrava l’esperienza più utile. Dopo un periodo di verifiche, dove ho fatto altre attività, alla fine del 2021 ho ottenuto l’autorizzazione e ho iniziato. Incontriamo giovani, anziani, italiani, stranieri, c’è chi capisce subito che stai facendo un servizio per loro, altri che ci mettono più tempo. Alcuni sono un po’ prepotenti, però alla fine apprezzano, magari non sono soddisfatti perché non riescono ad avere quello che vogliono ma non sono mai eccessivi. È una cosa che continuo a fare volentieri perchè ti rendi conto che stai facendo del bene anche a chi è scontento, se viene all’emporio è perchè ha bisogno. C’è qualche detenuto che si ferma anche solo a  chiacchierare  e permette a te di dargli qualcosa, ma anche di capire quanto può essere complicata la vita, è un assaggio di vita reale”.

Massimiliano, 53 anni, era uno di quelli a cui piaceva parlare: “Sono stato arrestato nel 2019 e, come molti detenuti, non sapevo come mantenermi, anche facendo piccoli lavori si fa fatica. L’emporio mi ha dato una grossa mano, vai a prendere un bagnoschiuma, un asciugamano, un pacco di caffè. È un aiuto fondamentale, specie se non hai nessuno fuori che ti possa mantenere. L’emporio mi è servito anche per incontrare persone che mi hanno aiutato fuori. Dopo 3 anni in carcere, tramite l’educatrice, ho conosciuto la Caritas e i suoi progetti, Michele si è offerto di ospitarmi presso il Centro San Giacomo dove condivido un piccolo appartamento con altri detenuti in misura alternativa. Il centro si trova in via Arginone, la stessa via del carcere: un “trasloco” di poche centinaia di metri che però rappresenta per me un passo decisivo verso un futuro migliore. Al momento sono in affidamento ai servizi sociali e faccio diversi lavori come volontario, sono bravo con i lavori manuali, in passato ho montato finestre, ho fatto il carrozziere, il meccanico, me la cavo in diversi ambiti. Il mio fine pena è nel 2025 sulla carta, poi vediamo cosa succede, spero di poter trovare un lavoro, una casa e so che Caritas mi aiuterà anche in questo perchè non abbandonano nessuno”.

Se vuoi collaborare al progetto dell’emporio in carcere puoi prendere contatti e informazioni qui:

Di più non possiamo fare, ma possiamo sempre farlo meglio!

La mensa di Caritas Ferrara cerca volontari

Se non sai cucinare puoi impiattare, se non sai impiattare puoi distribuire e se non hai tempo puoi fare il caffè o offrire una spesa, un modo per aiutare si trova sempre.

Si può fare il volontario alla mensa di Caritas anche se non si è cuochi provetti o camerieri esperti?
Certo che sì, e specialmente nel periodo estivo c’è davvero bisogno di tutti.

QUI TUTTE LE INFORMAZIONI UTILI SUL SERVIZIO MENSA

 

«Siamo sempre in cerca di volontari, ma in luglio e agosto questa esigenza aumenta – spiega Carlo, operatore di Caritas Ferrara – arrivano le ferie, chiudono le scuole e i nonni passano molto più tempo con i nipoti invece che qua, ma chi viene a mangiare da noi in vacanza non ci va e quindi c’è sempre bisogno dell’aiuto di tutti, anche solo per preparare le colazioni o distribuire i pranzi. Si può fare volontariato e donare il proprio tempo in tanti modi diversi».
E chi di tempo proprio non ne ha, può anche decidere di donare una spesa, non è nemmeno necessario chiedere di cosa c’è bisogno, i beni di prima necessità come la pasta, il latte, l’olio, alimenti che durano, che si possono conservare e che vengono usati quotidianamente, sono sempre bene accetti.
Il servizio mensa parte la mattina con le colazioni: i volontari arrivano  tra le 7 e le 7:30, preparano il caffè e le paste, che solitamente  vengono offerte da pasticcerie o forni, ma, per sicurezza, in dispensa biscotti e brioches confezionate ci sono sempre, altro bene da mettere nella lista della spesa da “donare”.
«Dalle 8:15 si apre agli utenti, a tutti indifferentemente, non chiediamo documenti – sottolinea Carlo – il servizio è per chiunque ne abbia bisogno».
Alle 9:30 i volontari del turno colazioni hanno finito, e possono andare a casa. Nel frattempo, alle 9:00, sono arrivati i volontari del turno pranzo, che prestano servizio in cucina, appunto per preparare il pranzo. Ogni giorno devono essere almeno in tre, per far da mangiare a 70, 80, a volte anche 100 persone, quelle che qui a Ferrara quotidianamente pranzano alla Caritas. Dopo i cuochi e le cuoche, alle 11:30 arrivano i volontari “del bancone”, che invece gestiscono la sala: preparano i tavoli, distribuiscono i vassoi dei pasti, regolano l’ingresso e l’uscita dei commensali. Anche loro devono essere almeno in 3 affinché il servizio si svolga in modo fluido e regolare. A quelli della sala e della cucina si aggiungono poi, a mezzogiorno, i volontari del ”mercatino”: chiamiamo così la distribuzione di alimenti freschi, per lo più frutta e verdura, recuperata dai supermercati di Ferrara che ci donano i prodotti prossimi alla scadenza. Quelli che non utilizziamo in cucina li distribuiamo direttamente alle persone bisognose da una specie di bancarella che allestiamo all’uscita della mensa.
La mensa Caritas è aperta per il pranzo dalle 12:30 alle 13:30, tutti i giorni della settimana. Il pasto è gratuito: primo, secondo, contorno, pane, dolce e frutta, a scelta con o senza carne di maiale oppure menù vegetariano. Il turno di servizio dei volontari si conclude alle 14:00 con la pulizia della cucina e della sala.
Dalle 9:00 alle 14:00 il servizio in cucina sono tante ore, è vero, ma, come racconta Carlo: «Ci sono turni di servizio più brevi: al bancone della sala, dalle 11:00 alle 14:00, o al mercatino, dalle 12:00 alle 14:00. Si deve comunque considerare che la mensa Caritas, per quanto gratuita e non professionale, funziona come un vero e proprio servizio di ristorazione, interamente gestito dai volontari, e dunque, sì, è un impegno “serio”. Proprio per questo la disponibilità che chiediamo ad ogni singolo volontario è per un solo giorno a settimana».
Di esperienza, prima come volontario e poi come operatore, Carlo ne ha parecchia: «Sono arrivato nel 2018 per il Servizio Civile, ho lavorato nel centro di accoglienza e poi anche in mensa. Nel 2020 sono stato assunto come operatore. Certo questo ora è il mio lavoro ma è prima di tutto un’esperienza formativa, ti arricchisce. Torno a casa consapevole di aver fatto qualcosa di utile per gli altri e vado a letto più sereno».
Oggi in cucina ci sono Raffaella, Malek e Nadia. Sono loro i cuochi volontari del pranzo di questo venerdì.
«Ho 72 anni e prima di andare in pensione facevo il medico – racconta Raffaella, mentre non smette un secondo di riempire piatti – conoscevo amici che venivano già qui e allora, due anni fa, li ho seguiti. Faccio servizio il venerdì in cucina dalle 9 alle 14. Oggi, in base a cosa abbiamo trovato in dispensa, abbiamo preparato pasta al sugo, che va bene anche per chi non mangia maiale, cappellacci, spezzatino di salume, polpettine e hamburger di verdura sempre per chi non mangia maiale o carne in generale, patate arrosto, zucchine peperoni e melanzane e anche pomodori in insalata».
Chiediamo a Raffaella cosa direbbe se dovesse lanciare un appello per convincere qualcuno a venire a fare il volontario in mensa.
«Venite perché è un ambiente dove si riceve molto, se si è in tanti è meno faticoso e si sta bene in compagnia. Io ho sempre avuto vicino un’altra volontaria, Maria, che è stata il mio faro e tra di noi è nata un’amicizia grande. Ci intendiamo bene anche con chi non parla italiano, come Nadia o chi non lo parla ancora bene come Malek».
Anche Malek continua a cuocere pasta, condirla, lavare pentole, la fila fuori dalla mensa è ancora lunga.
Viene dalla Tunisia, ha 37 anni e un passato nella boxe professionistica.
«Quando ho smesso sono andato a lavorare in Libia, era il 2012, poi sono tornato in Tunisia e ho aperto una pizzeria insieme alla mia famiglia, avevamo 12 tavoli, mi piaceva molto fare il pizzaiolo, ma poi è arrivato il Covid, abbiamo dovuto aprire e chiudere tante volte e non riuscivamo più a coprire le spese. Allora, nel 2022, ho lasciato il mio paese e su un barcone, come tanti, sono venuto qui in Italia. Dalla Sicilia mi sono spostato al Nord, ho lavorato come metalmeccanico in fabbrica, poi mi è scaduto il permesso di soggiorno. A quel punto sono arrivato a Ferrara e adesso aspetto il rinnovo per poter lavorare di nuovo. Sono venuto a mangiare qui in Caritas per quasi un anno, poi mi hanno chiesto di fare il volontario e da un mese sto in cucina».
Dalla sala mensa come ospite alla cucina come volontario, pochi passi e Malek si sente decisamente meglio.
«Sì perché mi piace stare in cucina, darmi da fare, aiutare. Voglio restare in Italia, farmi una famiglia qua, amo Ferrara perché è una città solidale, sono sempre stati molto gentili e disponibili con me».