Cammini di rinascita: donne e minori verso l’autonomia
Marika Belmonte, Assistente sociale di Caritas Ferrara, ci racconta come avviene l’accompagnamento delle donne e dei minori immigrati accolti a Casa Betania o negli altri appartamenti Caritas
Dalla paura e dall’estrema fragilità alla soddisfazione di percepirsi come soggetti autonomi, in grado di ricostruirsi una vita serena.
È questo il lungo e difficile percorso che compiono le donne ospite del servizio di Accoglienza della nostra Caritas diocesana. E in questo cammino verso la piena consapevolezza di sé e del proprio valore, un ruolo importante lo gioca Marika Belmonte, Assistente sociale in servizio a Casa Betania dal 2021.
«La mia prima esperienza in quest’ambito – ci racconta – risale a un mio tirocinio svolto durante il percorso universitario nella Caritas di Palermo, e poi con altre esperienze di Servizio civile, volontariato, prima di diventare operatrice», fino al trasferimento nella nostra città.
Il compito di Marika consiste nell’accompagnare e sostenere la costruzione di progetti di autonomia individuale, di animazione per i minori e di orientamento all’uso dei servizi territoriali del pubblico e del privato (qui la pagina dedicata all’Accoglienza residenziale).
«Le ragazze che accogliamo qui per la maggior parte arrivano dall’Africa via mare», prosegue. «Il loro arriva qui significa per loro un disorientamento totale». Per questo, è essenziale l’affiancamento nel suo lavoro delle mediatrici linguistico-culturali Sheikh Oyaye Rabbiia (somala), Elisa Ferraretto e Yasmine Belabess.
Le tappe della riscossa
Il primo incontro è molto importante e delicato: «serve a far comprendere loro dove si trovano, perché si trovano qui, cosa debbono fare per avere i documenti di identità, per il permesso di soggiorno. E spiego loro cos’è la Caritas». Tenendo in conto che la stragrande maggioranza di loro è analfabeta….
Riguardo alla domanda per chiedere la Protezione Internazionale, «le supporto nella compilazione del modulo per la richiesta e raccolgo la loro storia personale, che viene trascritta e poi allegata alla domanda di asilo». Inoltre, «le supporto nelle fasi che conducono al colloquio con la Commissione Territoriale che deciderà se riconoscere la Protezione Internazionale». Non bisogna dimenticare che si tratta di persone che hanno subito traumi importanti (molte di loro sono passate per i famigerati campi libici), quindi «piene di paura, estremamente fragili, che all’inizio quindi faticano ad aprirsi. Nei primi incontri dalle loro storie emergono molto spesso che sono state vittime di mutilazione dei genitali, di matrimoni forzati, di stupri».
Nel caso non riescano ad ottenere il Permesso di soggiorno, Marika le aiuta anche a preparare il ricorso per il Tribunale. Solitamente, però, questi iter durano anni. Nel frattempo, «cerchiamo di accompagnarle verso l’autonomia», che in molti casi non hanno perso ma mai conosciuto.
Si parte, innanzitutto, con la scolarizzazione base (come detto, per molte di loro significa partire dall’imparare a leggere e a scrivere) e l’insegnamento della lingua italiana. Nonostante i traumi che si portano dentro, «tante volte però – prosegue Marika – ho notato la loro grande forza di volontà, la voglia di vivere, di riscatto, per cui tante di loro dopo 1-3 anni riescono ad imparare l’italiano e a raggiungere una certa formazione».
La seconda fase è quella dell’integrazione lavorativa, «che avviene attraverso il supporto alla ricerca del lavoro, l’aiuto nella compilazione del curriculum vitae, gli incontri di orientamento al lavoro». I primi impieghi che riescono ad ottenere sono lavori stagionali perlopiù in ambito agricolo. Alcune di loro, poi, si iscrivono a corsi professionalizzanti, come quelli per Assistente familiare o OSS.
Vi è poi l’aspetto dell’assistenza sanitaria, in collaborazione col nostro poliambulatorio: «molte arrivano gravide, per cui le nostre ginecologhe le assistono e le preparano al parto». E sono attivi anche il Corso Salute Donna per la prevenzione delle malattie e la campagna di vaccinazione, corsi per la corretta alimentazione, e percorsi specifici per le madri.
Un altro ambito fondamentale per la loro autonomia è quello per l’orientamento al territorio, con incontri ad hoc tenuti da Marika per la gestione delle attività quotidiane riguardanti, ad esempio, il rinnovo della carta d’identità e la ricerca del medico di base.
Riguardo ai minori, il ruolo di Marika consiste nel mantenere i contatti con la scuola che frequentano, con gli insegnanti, con le attività del doposcuola, con le società sportive se scelgono di fare sport. E bisogna considerare che molti di loro sono seguiti anche dalla Neuropsichiatria, per i traumi subiti nelle prigioni libiche, dove spesso nascono e vivono i primi anni di vita.
Rinascere a nuova vita
Tutti obiettivi, questi, ci spiega ancora, «che vanno condivisi con la persona interessata, tenendo conto delle differenze culturali spesso rilevanti», ad esempio nell’essere, queste donne, abituate a dipendere totalmente da una figura maschile (il padre, un famigliare, il marito). Il percorso di autonomia, quindi, va costruito pian piano, «facendo acquisire loro sempre maggiore consapevolezza di sé e la conseguente capacità decisionale. E quando riescono ad abbattere questi muri dettati dalle loro consuetudini e dall’educazione ricevuta, e la conseguente paura, è davvero una grande soddisfazione. Ci si affeziona a loro, a volte il distacco non è facile, ma molte di loro tornano a trovarci».