Asia, Barbara e Salvatore: tre studenti in Caritas
Abbiamo incontrato i tre ragazzi che per 10 giorni hanno svolto in Caritas lo stage per l’alternanza scuola-lavoro
Grati e positivamente stupiti per quella che per due settimane è stata, in un senso profondo, la loro casa. Sono i sentimenti che ci trasmettono tre studenti dell’ultimo anno dell’Istituto L. Einaudi di Ferrara (indirizzo “Servizi per la sanità e l’assistenza sociale”), che dal 30 gennaio fino a oggi, 10 febbraio, hanno svolto lo stage nella nostra Caritas per l’alternanza scuola-lavoro. È il secondo anno consecutivo che Caritas Ferrara accoglie studenti dell’Einaudi per lo stage.
Asia Brunelli, Barbara Palmisano e Salvatore Luca per cinque giorni alla settimana, 4 ore ogni mattina si sono messi al servizio del Centro Caritas e dei suoi assistiti.
«È una realtà che non conoscevamo molto», ci raccontano i ragazzi. «Come tanti, pensavamo avesse solo la mensa per i poveri, e invece abbiamo visto quanti servizi invece ha. Della Caritas, in generale, si parla poco, troppo poco. Meriterebbe molto più spazio sulla stampa locale».
Già con alle spalle alcune esperienze di stage (in strutture per anziani, per persone disabili, per ragazzi con autismo), i tre studenti hanno avuto innanzitutto l’opportunità di imparare sul campo come si progettano interventi in ambito sociale. Asia e Barbara, oltre alle ore in ufficio hanno fatto anche lezioni di italiano alle donne straniere ospiti di Casa Betania.
Le due ragazze ci tengono molto a soffermarsi su questa esperienza: «per me – ci spiega Asia – è stato molto importante il contatto con queste donne accolte. E mi ha commosso vedere la loro gioia grande, incontenibile, per alcuni traguardi raggiunti. Gioia che ho condiviso: ero felicissima anch’io. Vorrei tornare qui come volontaria».
«Ricorderò anch’io – ci racconta Barbara – in particolare le lezioni con le donne accolte, ad esempio nigeriane o ucraine: nonostante provengano da culture tra loro così diverse, era bello vedere come sapevano stare insieme, condividere quei momenti, come si aiutavano reciprocamente. E il fatto che vedano le operatrici e i volontari come un punto di riferimento».
«Io ho anche accompagnato Emily col furgone per il ritiro delle merci, aiutato per la distribuzione dei pacchi vivere e dei piatti in mensa», ci spiega Salvatore. «Ciò che più mi ha colpito? La possibilità di interagire con le persone, provando a metterle a loro agio, facendo in modo che potessero avere fiducia in me, che non avessero disagio nel chiedere aiuto», prosegue. «Il tatto umano è decisivo e sufficiente, non servono particolari “stratagemmi”. Basta cercare di mettersi nei loro panni». Un‘empatia che – ci dicono i ragazzi – manca tra i giovani della loro generazione, spesso egoisti, irresponsabili, infantili.
In questo, la Caritas rappresenta un modello alternativo, come stile nelle relazioni, anche tra gli stessi operatori e volontari. «Il clima qui in Caritas – ci dicono i tre studenti – è ottimo: c’è molto rispetto tra le persone, non si nota nemmeno la differenza tra operatori e volontari. È un clima accogliente, necessario per poter aiutare chi si rivolge qui. Noi stessi ci siamo sentiti fin da subito accolti».
E dell’essersi sentiti accolti, fanno parte anche parole che possono passare inosservate, ma che invece hanno un peso specifico importante. «Un giorno – ci racconta Salvatore – chiesi a un operatore: “se alla mensa viene a mangiare uno che in realtà non ha bisogno, come devo comportarmi?”. E lui mi ha risposto: “è meglio essere presi in giro, che rischiare di non aiutare uno che ha bisogno”. Mi ha colpito molto, mi ha fatto comprendere cos’è lo spirito Caritas».